Il suo era il cognome bovesano più diffuso, Pellegrino, ma a lui non serviva, a differenza di tanti altri, un «soprannome» per farsi riconoscere. Un po’ era per quel suo nome, raro alle pendici della Bisalta: Dante, quello del massimo poeta nazionale, fondatore della nostra lingua, fiorentino (contrazione toscana di Durante).
Poi c’era il suo titolo di studio, di quelli che «contavano» davvero nella sua generazione (era classe 1928): geometra. Bastava parlare del «Geometra Dante» e tutti, da vecchi a giovani, sapevano benissimo di chi parlavi. Oltretutto non poco aveva fatto nella Comunità: è stato, certamente, uno dei protagonisti della attività edile bovesana del dopoguerra, per un mezzo secolo, insieme al collega (e Consigliere comunale) Domenico Lazzari e ad Attilio «Nino» Daniele, Tecnico Comunale, per lui figura quasi «paterna».
Sinceri e vivi, infatti, erano amicizia ed affetto verso quest’ultimo, tanto da fare del «Geometra Dante» il principale «collezionista» dei quadri di Daniele (cui si dedicò dopo la pensione), certo il più notevole. pittore bovesano in assoluto.
Pur godendosi meritato riposo (facile era trovarlo a giocare a carte con gli amici al bar), negli ultimi anni, «Dante» fu sempre lucido ed attivo. Dalla collaborazione professionale con Piero Pellegrino era passato a quella con il di lui figlio Enrico, nel suo studio in Piazza dell’Olmo.
Fu vero «Signore», nel senso «antico», dai tratti novecenteschi, ma anche ottocenteschi, sorridente e cortese, ironico. La sorella era Liliana, di due anni più «grande», scomparsa nel 2017, vera «celebrità» locale: una delle bovesane che «ce la avevamo fatta», diventando sarta e costumista a Roma, tornando definitivamente a Boves sono nell’ultimo periodo della vita.
Oltre ai quadri di Nino Daniele, il suo «archivio» comprendeva grandissima documentazione fotografica (protagonista di esposizione in Santa Croce, a cura di Sandro Gastinelli, in occasione della sua «Leva» degli «ottanta anni», nel 2008).
Molto legato fu sempre alla Valle Colla (e, anche, proprietario dei locali che ospitarono «Il Rododendro», il ristorante di Mary Barale giunto ai vertici delle classifiche italiane del settore).
Passata la novantina, come è fatale, forze e salute cominciarono a declinare.
È morto nella mattina di lunedì 21 dicembre, nella sua casa di Via Lidice (dalle linee «modernissime»), serenamente, come recita il tiletto, «circondato dall’affetto dei suoi cari», in questi giorni di «pandemia» e tanti lutti (si «dispensava» dalle visite alla salma).
Lascia, oltre alla moglie Celestina, punto di riferimento di tutta la sua vita, il figlio Mauro, stimato medico di base, in prima linea nella lotta al «contagio», le figlie Daniela (insegnante) e Paola, la nuora Maria Luisa, le nipoti Marta e Viola.
Il funerale è stato fissato nella mattina di martedì 22 dicembre, alle 10,30, San Bartolomeo, prima di tumulazione nel cimitero cittadino. Nella chiesa parrocchiale pure vi sarà la «Trigesima», domenica 24 gennaio alle ore 11.
ATos