Se nell’antica Grecia le Olimpiadi erano in grado di fermare le guerre, oggi lo sport può risultare determinante per fare ripartire una società paralizzata dalla pandemia. In questo senso, il movimento sportivo cuneese ha le carte in regola per giocare un ruolo da protagonista. Tenacia, resistenza, capacità di reagire e coraggio: sono alcuni tratti della Granda “sportiva” che, dopo aver conquistato l’Italia e il mondo, oggi può diventare fonte di ispirazione da cui trarre le energie per battere il Covid. Ne abbiamo parlato con l’ex mezzofondista centallese, già numero uno della Federazione italiana di atletica leggera ed ex presidente di Asics Italia, Franco Arese.
Arese, prima di tutto, come sta?
«Sto bene, per fortuna. Ho vissuto il “lockdown” con prudenza e attenzione, senza tuttavia vivere questa situazione con ossessione. Insomma, ho cercato di vivere normalmente».
Ci è riuscito?
«In realtà, ho dovuto anche io cambiare stile di vita. Per lavoro, ero solito viaggiare molto, in Italia e all’estero. Mi sono dovuto fermare».
Com’è andata?
«Sa, dopo un po’ che si è chiusi in casa, sale quella che i lombardi chiamano “pecundria”. La malinconia, in sostanza. È lì che ho iniziato a reagire».
In che modo?
«Mi sono “messo” a scrivere e leggere di più. Prima sfogliavo i giornali di fretta, ora li leggo a fondo. Non mi fermo ai titoli e approfondisco. Anche a tavola sono cambiate le cose: cerco di mangiare in modo più sano».
La tristezza è passata?
«Direi proprio di sì. È stato utile anche pensare a mio padre: lui ha fatto la guerra in Russia. Insomma, ci sono generazioni che hanno vissuto tempi ben peggiori rispetto ai nostri. Sapremo anche noi adattarci a questa situazione e, con un po’ di “filosofia”, ce la faremo».
Lei ha uno stimolo in più: lo sviluppo del brand sportivo finlandese che ha di recente rilevato con i suoi figli: Karhu.
«È un bello stimolo, in effetti. Quando ho “chiuso” con Asics, non pensavo di vivere una nuova esperienza imprenditoriale. Pensavo che me ne sarei stato tranquillo, mi sarei goduto la famiglia, la casa, eccetera. Le solite cose che dicono quelli della mia età, insomma».
Invece?
«Invece si è presentata Karhu: una sfida. Io e il più “piccolo” dei miei tre figli, Enrico (gli altri sono Edoardo ed Emanuele, nda), prendemmo subito un aereo e volammo in Finlandia. Dopo 6 mesi si chiusero le trattative e acquisimmo il marchio. È stato un atto di coraggio. Dovremo “marciare” senza sosta ancora per cinque o sei anni, ma il “brand” ha un futuro. Segno che, a volte, coraggio e incoscienza pagano».
La Finlandia è proprio nel suo destino. Nella capitale, Helsinki, nel 1971, si è infatti laureato campione d’Europa.
«Ho un legame speciale con quei luoghi. Quando ero un atleta, le competizioni più prestigiose si svolgevano proprio da quelle parti. Andavo là volentieri perché le gare si disputavano in scenari da favola, che riconciliavano con se stessi e la natura. E poi non faceva mai troppo caldo. Peccato solo che durante l’inverno sia quasi sempre notte…».
Anche Cuneo, in quanto a paesaggi, ha nulla da invidiare…
«Ha ragione! Ancora oggi, quando arrivo a Cuneo e vedo le montagne, mi emoziono: per fortuna, stiamo iniziando a comprendere quanto siano meravigliose e quanto possano essere preziose in chiave turistica. E, poi, esprimono al meglio la “cuneesità”».
Ovvero?
«Il nostro carattere, il carattere di ciascun cuneese. Siamo persone abituate a lavorare sodo, a fare sacrifici e rialzarci dalle “cadute”, senza chiedere nulla. Sì, siamo silenziosi e, a volte, anche spigolosi, ma abbiamo “dentro” una potenza incredibile. Come le nostre montagne».
È per questo che lo sport cuneese è riuscito a farsi largo, fino a conquistare il mondo intero?
«Assolutamente sì! Nel Dna dei nostri atleti ci sono tutte queste caratteristiche».
Specie nell’atletica.
«A partire dall’atletica, direi… Visto che abbiamo raggiunto l’eccellenza in quasi tutte le discipline. Tra coloro i quali incarnano al meglio lo spirito “cuneese” ci sono sicuramente i fratelli Damilano: Maurizio era il più forte, Giorgio seppe comunque ritagliarsi uno spazio significativo. Sandro, ancora oggi, è conosciuto a livello internazionale: il fatto che la Nazionale cinese di marcia, di cui è allenatore, lo tenga stretto conferma il suo grande valore».
Non è l’unico caso, nella Granda, di famiglia che è stata capace di conquistare il mondo con le proprie imprese sportive…
«È vero, i fratelli Dematteis sono l’altra eccellenza. Ho avuto l’onore di ammirarli dall’elicottero. Erano impegnati in un difficile tratto di discesa: si muovevano come dei camosci. Velocissimi, agili, splendidi. Uno spettacolo!».
Quali altri corridori cuneesi l’hanno impressionata?
«Elisa Rigaudo, bravissima; ma anche, guardando agli atleti del passato, i compianti Gian Paolo Iraldo e Walter Merlo. E poi c’è una leggenda: Marco Olmo. Ha un carattere fortissimo, oserei dire unico, che gli permette di sopportare, non più giovanissimo, fatiche disumane. Mi permetta, poi, due parole su Rita Marchisio…».
Prego, siamo tutt’orecchi.
«Nel 1982 non era una passeggiata affrontare gare in Giappone. Città come Osaka, dove si svolse la maratona, erano già piuttosto caotiche. I giapponesi non rivolgevano praticamente parola agli stranieri e non erano indicati i nomi delle vie… Insomma, non trovavi scritto “via Roma”, come a Cuneo. Lei riuscì a restare concentrata e a superare le difficoltà della prova, compiendo un’impresa. In quella vittoria è concentrata tutta la forza della nostra provincia».
Anche i nostri sciatori hanno firmato imprese estremamente emozionanti, vero?
«Prima mi faccia ricordare anche altri sportivi, come l’indimenticato Attilio Bravi, la campionessa di ginnastica ritmica Claudia Martin e, guardando ai giorni nostri, i talentuosi Bencosme e Riva. Passando allo sci, il mio applauso più grande va a Stefania Belmondo, senza dimenticare Paolo De Chiesa».
E Marta Bassino?
«L’ho tenuta per ultima perché merita un commento a parte. Ha tutte le qualità per diventare una campionessa!».
Atletica, sci e…
«Ciclismo, sicuramente! Con gli attuali atleti e atlete stiamo vivendo un momento magico; mi resta però il rammarico di Alberto Minetti: senza quel maledetto incidente sarebbe diventato un campione. Chiudo la panoramica con la pallavolo, un movimento, quello cuneese, che ha fatto scuola, a partire dal Cuneo campione d’Italia».
Si illumina ancora quando parla di sport. Le mancano le gare?
«No. E sono sincero. Durante la degenza al “Santa Croce”, dopo l’infortunio, compresi che nella vita c’era anche altro oltre alle gare e, soprattutto, che non avrei potuto vivere di soli ricordi. E così che, anche con un po’ di fortuna, ho iniziato le mie avventure da dirigente e imprenditore».
A proposito di avventure… Qual è la sua prossima?
«Sogno che i miei figli possano riportare Karhu nell’Olimpo dei brand sportivi. In generale, il mio auspicio è che lo sport, in particolare l’atletica, possa tornare a premiare il merito».
L’augurio per la Granda?
«Facile: spero che la nostra provincia continui a sfornare atleti che sappiano farsi valere a livello sportivo e lasciare un ricordo positivo nella gente. Ma, attenzione! E qui mi rivolgo a tutti, non solo agli sportivi: basta con le esasperazioni, i ritmi di vita frenetici, l’ansia da fatturato. Il Covid ci impone uno stile di vita alternativo: in questo senso, credo che i cuneesi possano, ancora una volta, essere gli artefici di un nuovo modello».