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«La democrazia? Dovremmo votare ogni due anni»

Il matematico Odifreddi: «Le opinioni degli elettori cambiano in fretta. Ma i politici si adeguano: Conte chiede la “task force” altro che voti» «La Cina e i Paesi asiatici hanno gestito meglio l’emergenza; in Occidente siamo spaventati per lo “shopping” di Natale: il nostro sistema va ripensato»

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Professor Odifreddi, si chiude un anno marchiato dal Covid: quale analisi si può fare in questo momento?
«Possiamo, per esempio, confrontare i dati che riguardano la Cina e i paesi asiatici con i nu­meri occidentali. E possiamo sorprenderci. In Cina, su 1,5 miliardi di abitanti ci sono stati circa 5 mila morti per la pandemia. Negli Stati Uniti, invece, su 300 milioni, circa 300 mila vittime ovvero una ogni mille abitanti. In Italia siamo su cifre analoghe con oltre 65 mila morti sulla nostra popolazione. Quin­di il rapporto tra i numeri Covid del mondo occidentale e della Cina è inquietante, il nostro dato è mille volte più grande».

Che cosa significa?

«Che c’è una debolezza nel nostro sistema non solo sanitario, ma anche economico e politico. Qualcosa che ha che fare con gli stili di vita. Tutto questo dovrebbe farci meditare su quali siano i valori fondamentali a cui ci ispiriamo. Invece sembra che per noi occidentali tutto venga dopo gli introiti, dopo il mercato. E facciamo tutto senza pensare».

In effetti, è quello che sembra. Ma come si arriva a questa conclusione?

«Mi domando per quale mo­tivo i numeri del Covid sia­no più contenuti dove il li­bero mercato non esiste, do­ve la democrazia non c’è. Vuol dire, forse, che quei si­stemi sono più sensibili ad altri va­lori, priorità che magari non rappresentano la nostra stessa smania di effettuare più acquisti».

Quali errori hanno commesso i nostri governi?

«Non sono errori, sono conseguenze volute se per esempio non si può fare a meno di andare in vacanza neppure quando il rischio di aumentare il contagio è alto. Ora, per esempio, siamo nel periodo in cui si effettua un terzo degli acquisti di un intero anno. Un giro da 40 miliardi. Questo, a ben vedere, forse evidenzia che in qualche modo la popolazione occidentale è de­bole sotto il profilo umanistico. Possibile che sia­mo così immaturi da non poter rinunciare alle so­lite abitudini dello “shop­­ping” compulsivo in vi­sta del Natale in nome del­la sa­lu­te? Sia­­mo così cinici e scioc­­chi?».

Ma non è il comitato scientifico a decidere in questo senso? For­­se allora c’è un problema di comunicazione?
«Questa è la ciliegina sulla torta; le scelte del Cts in quel contesto secondo me sono coerenti, però poi i media vanno a cercare sempre le eccezioni, a evidenziare gli eretici e allora questa per la scienza, che invece dovrebbe marciare compatta e con una sola faccia, diventa una vera tragedia».

Insomma, qualcosa alla fine cam­bierà o no?

«Non saprei. Prendiamo la questione climatica. Per effetto della densità abitativa, nei grandi centri le molecole sono più pesanti e il virus si trasmette più facilmente. E allora da questo dovremmo forse capire che la grande urbanizzazione non è la scelta migliore per l’uomo. E che questa tendenza che ha portato l’80% delle persone a vivere nelle grandi città, offrirà il fianco alle prossime epidemie. Ma dubito che ci siano riflessioni approfondite su questo tema».

E sul piano economico ci sarà un cambiamento?
«Le premesse non sono cer­to confortanti. Pensiamo al prestito da 6 miliardi concesso a maggio a Fca con ga­ranzie pubbliche… Fa pensare. Il sistema capitalistico si autogiustifica, annulla il rischio d’impresa. Quando va in perdita, vedi caso Alitalia, fa in modo che l’azienda venga scorporata in una “bad company”, che viene rifilata allo Stato, e una “good company”, ai privati. È un sistema squilibrato e il momento generale dovrebbe indurre a ripensarne tutte le strutture, invece la politica si occupa di altro, di fare riforme come quella sul numero dei parlamentari, che non interessa nessuno. Manca una visione».

E intanto aumenta la sfiducia verso le istituzioni.

«Come potrebbe essere diversamente? Se il Governo si è basato prima sulla coalizione tra due forze sempre in contrasto come Cinque Stelle e Lega, poi si è ricostituito su un’altra coalizione tra forze antitetiche co­me gli stessi Cinque Stelle e il Pd, come si può aver fiducia? Pri­ma si o­diavano e ora vanno d’accordo? E non si parla di elezioni. Sen­tiamo Conte ipotizzare un “rimpasto” ma con tutti i problemi che ci sono, si preoccupano di chi a­vrà “i servizi segreti”. Incredibile».

Sembra però un Governo, nel bene e nel male, compatto…
«Nelle grandi crisi l’Italia ha sempre trovato un’unità decisionale. Durante la Prima guerra mondiale, ci fu un Governo di unità nazionale, così come per la Seconda guerra mondiale, fino alla Costituente. E dire che c’erano partiti più ideologici di quelli attuali: Dc da una parte e comunisti dall’altra, ma erano insieme. Tra il ’76 e il ’78, in piena emergenza terrorismo ci fu la “non sfiducia”. Le vittime di quell’epoca furono in totale 390, nulla a che vedere rispetto all’emergenza attuale. Il Go­ver­no si muove unanime sì, ma non su iniziative proprie. Se la Mer­kel opta per il “lockdown”, lo facciamo anche noi. Sempre per una questione di soldi. In fondo, il Governo d’unità nazionale con De Ga­speri doveva sviluppare il piano Marshall per la ricostruzione, così come oggi in ballo ci sono i miliardi del Re­covery Fund».

Nei suoi libri ha già affrontato il tema della democrazia: è un concetto oggi in crisi?

«È un sistema antiquato, applicato inizialmente più di due secoli fa come conseguenza delle rivoluzioni in Francia e negli Stati Uniti. Ora fa acqua sotto molti punti di vista. La nostra Costitu­zione è più giovane, ma comunque concepita quando la televisione non c’era ancora e la società era molto diversa da come è strutturata adesso. Le opinioni degli elettori, oggi, cambiano in fretta, mentre le legislature vanno avanti cinque anni e congelano gli effetti del voto in momenti casuali… Forse sarebbe più logico andare alle elezioni ogni due anni, non sarebbe così strano. Negli Usa ogni due anni la Camera si rinnova. Da noi, adesso, vediamo un Governo che si trascina senza elezioni…».

Che ruolo hanno i media e i social in tutto questo?
«I social hanno amplificato i pareri meno intelligenti e questo è un problema anche quando si va al voto. Che senso ha chiedere alla popolazione di esprimersi sul nucleare o altri temi complessi? È dannoso e questo la politica lo sa. Come diceva il mio amico Stefano Rodotà, siamo in una democrazia di facciata. I politici si regolano di conseguenza: vedi Con­te che punta a istituire una “task force” per prendere le decisioni invece che utilizzare i canali previsti dal sistema».

Meglio dedicarsi all’infinito, come lei ha fatto con il suo ultimo libro?

«In realtà non è un tema così slegato da ciò che abbiamo detto. Anticamente si pensava che fosse in realtà “non-finito”, “incompiuto”. Leopardi ha accennato al concetto di “indefinito”. Io ho individuato 12 concetti di infinito. Perché ogni parola ha un significato, non ci si deve confondere. Come per politica ed economia».