Un anno di lavoro sul territorio per la Consulta Femminile di Mondovì: nato nell’ottobre del 2019, quest’organo di consultazione dell’Amministrazione comunale ha recentemente festeggiato il primo compleanno, celebrato anche attraverso la relazione presentata dalla presidente durante la riunione del Consiglio del 29 dicembre. Alla guida della Consulta c’è Francesca Bertazzoli che noi della Rivista IDEA abbiamo intervistato per fare il punto sull’attività.
Quali iniziative hanno caratterizzato il vostro primo anno?
«I primi mesi sono stati dedicati all’organizzazione interna. Abbiamo poi creato i nostri canali “social”, utilissimi dato che dopo pochi mesi l’emergenza sanitaria ha bloccato le attività all’esterno. Abbiamo collaborato con l’associazione “Asso” per una raccolta fondi a favore dell’ospedale di Mondovì e con il Circolo delle Idee locale nella realizzazione di una “videocall” con Marco Serale, addetto presso l’Unità di crisi Covid-19 del Piemonte. In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne abbiamo illuminato con fasci luminosi rossi il palazzo municipale e la torre del Belvedere. In parallelo, abbiamo creato comitati specializzati e proposto approfondimenti sulle conseguenze psicologiche e giuridiche della violenza; inoltre, abbiamo ideato un effetto che permette di realizzare un autoscatto in cui compare un segno rosso sulla guancia e promosso una campagna fotografica sui “social network”».
Progetti futuri?
«Prevediamo nuove collaborazioni con associazioni cittadine e l’organizzazione di una serie di interventi nelle scuole sul tema del bullismo di genere».
C’è interesse?
«Sì. Siamo state contattate da persone che vorrebbero creare una consulta analoga nelle loro rispettive realtà: sono disponibile a raccontare la mia esperienza. Auspico che anche altre comunità possano attivarla».
Lotta alla violenza sulle donne: si registrano passi avanti?
«Nell’ultimo anno, nell’ambito del nostro territorio, non ci sono stati incrementi di episodi di maltrattamenti segnalati, ma ben 42 donne del Monregalese si sono rivolte ai servizi antiviolenza: l’80% di loro ha figli piccoli. A livello nazionale, invece, c’è stato purtroppo un incremento di oltre il 20% delle segnalazioni».
Visti questi dati, si può arrivare a pensare che la legge battezzata “Codice rosso” del 2019 non basti?
«Il “Codice rosso” ha inasprito le pene e velocizzato l’instaurazione del procedimento. In presenza di denunce di violenza si cerca di procedere nel minor tempo possibile. La legge ha inoltre introdotto nuove fattispecie di reati che prima rischiavano di restare impuniti. Ma evidentemente tutto ciò non è sufficiente ad attenuare il fenomeno».
La Consulta va ben oltre il “rosso”… violenza, vero?
«Assolutamente. Già nel nostro logo non abbiamo voluto fare volutamente riferimento al rosso, perché ideali e finalità della Consulta vanno oltre questo tema e sono orientati su molteplici aspetti».
Approfondiamone uno: le “quote rosa”. Integrazione e valorizzazione delle donne passano attraverso una formula matematica, non è riduttivo?
«Penso che le “quote rosa” debbano ritenersi un mezzo per arrivare a un fine, che è il cambiamento di mentalità: un mezzo per avvicinare la donna ad ambiti in cui, magari anche per disinteresse, non è presente; questo perché questa presenza divenga la normalità e la donna non si senta più “fuori posto”».
Sono efficaci questi “mezzi”?
«Se vengono percepiti come strumento sì, perché offrono alle donne l’opportunità di entrare a far parte di contesti che prima erano loro preclusi. Come soluzione di pari opportunità non troppo, anche perché spesso è difficile giungere a una reale parità. Ci sono inevitabili differenze tra uomo e donna. Va valorizzata anche la diversità, non si deve solo “spingere” per la parità».
Il cambiamento dell’universo femminile è quindi concreto?
«Molte cose stanno cambiando, a livello nazionale e internazionale. Basti pensare alle nomine ai vertici di Bce e Commissione europea e, a livello locale, nel mondo politico e associazionistico. Molto meno, invece, in ambito lavorativo».
Perché?
«Sul lavoro le “quote rosa” risultano inefficaci se parallelamente non vengono attuati piani di inclusione familiare, supportati da agevolazioni organizzative. Un esempio: pensiamo alla grande impresa che all’interno non ha l’asilo aziendale; in questo caso, la donna-mamma viene tagliata fuori».
Un arbitro donna che dirige un incontro di calcio maschile internazionale ha una risonanza mediatica clamorosa. Quanto tempo dovrà passare prima che ciò diventi la normalità?
«Secondo me poco. La mentalità dei ragazzi sulla diversità di genere è molto più democratica, libera e comprensiva. Anche attraverso i “social” i tempi di cambiamento si accorciano. Proseguendo su questa strada, nell’arco di una ventina d’anni, non sarà difficile arrivare a una parità di genere, almeno come forma mentale».