«Buongiorno Ettore, disturbo?». «Per nulla! Sono nei boschi delle Rocche alla ricerca di tracce di lupi e di cinghiali».
Sì, ecco. Nei boschi. E dove mai poteva essere colui che nel Roero è noto come “l’aprisentieri”?
Direttore di banca, dopo essere andato in pensione, Ettore Chiavassa ha rifiutato numerose proposte di consulenza finanziaria per ritornare alla natura. La pura, semplice, incantevole, selvaggia natura. Lo incontro nella dimora storica della sua famiglia nel centro di Montaldo Roero. Una sincera amicizia ci lega da diversi anni per cui, più che un’intervista, la nostra è una chiacchierata tra amici.
Fa strano darsi del lei, ma le formalità dell’intervista lo impongono. Dunque parto chiedendole della sua famiglia e di questa casa…
«Casa Chiavassa è stata nel 1400 dimora dei Roero e nel 1500 dei miei antenati Scarampi, poi rifatta nella forma attuale attorno al 1700. Ho molti ricordi di questa casa. Nel suo cortile giocavo con gli altri bambini del paese e mia zia ci faceva bere l’acqua gelata del pozzo con la “cassa” (grosso mestolo squadrato, generalmente di rame, per prendere l’acqua, ndr). Ricordo anche i pipistrelli che, in qualche calda notte d’estate, entravano dalle finestre socchiuse e noi a urlare mentre gli davamo la caccia.»
La natura l’ha coinvolta sin da piccolo?
«Assolutamente sì. Ricordo che, incurante degli ammonimenti di papà e mamma, scappavo di casa per inerpicarmi sui sentieri delle Rocche che conducevano alle cime dei bricchi. Oppure scendevo in fondo, dove c’erano le “balarin-e”, sabbie mobili dalle quali era difficoltoso uscire. E il più delle volte ci lasciavo le scarpe, per la gioia dei miei genitori!».
È stato direttore di banca. Ora come si definirebbe?
«Sono un amante della natura che cerca di curare e difendere i boschi, tenere aperti i sentieri invasi dalle sterpaglie e vilipesi dai rifiuti lasciati da persone incivili, usando solo le mie mani e il machete. Sono un solitario, ma ciò non significa che io non abbia amici. Al contrario, ne ho tantissimi. Semplicemente preferisco camminare da solo alla ricerca di antichi sentieri che riscopro sulla base di notizie storiche, di antiche mappe, di testimonianze di persone anziane, di tracce lasciate dai padroni di casa, gli animali selvatici. Sono coinvolto in numerose associazioni che tutelano e valorizzano il territorio del Roero nonché vicepresidente di Canale Ecologia, associazione di volontari che dal 1992 acquista boschi per la loro salvaguardia e la creazione di oasi di protezione ambientale e si batte contro il disboscamento e l’uso indiscriminato di pesticidi e diserbanti. La prima cosa che ho fatto da pensionato è stata la costruzione di una “topia” (pergolato, ndr) per accogliere gli amici e per la ricerca e coltivazione di frutti antichi dimenticati».
Una volta ripuliti e liberati da rovi e sterpi, i sentieri sono percorribili da turisti ed escursionisti. Quanti e quali ha “aperto”?
«Esiste già un’estesa rete turistica mappata e palinata dei sentieri del Roero, facente capo all’Ecomuseo delle Rocche. Quelli che preferisco riscoprire e riaprire sono quelli “storici”, che collegavano tra di loro località del Roero percorrendo antichi tracciati in assenza di percorsi asfaltati. Sovente questi sentieri attraversano le Rocche perché sono i più brevi da percorrere, anche se meno sicuri».
Tra i sentieri riscoperti quale l’ha maggiormente gratificato?
«Il Sentiero delle Pervinche, che permette di collegare il fondo della “Rocca del Serro” alla torre cilindrica di Montaldo Roero. Mi ha dato grande soddisfazione perché mi è stato segnalato da una persona di 87 anni, purtroppo oggi scomparsa, che ha voluto accompagnarmi, appoggiandosi al suo “canet” (bastone da passeggio, ndr) per farmi vedere il tracciato che lui seguiva quando da giovinetto andava in campagna con il papà. Mi ha gratificato perché ho visto la commozione, l’emozione nei suoi occhi mentre camminavamo insieme. Il giorno seguente l’ho rivisto, senza che se accorgesse, rifare il sentiero da solo: un cammino nella memoria».
Qual è il momento della giornata che preferisce?
«Ogni istante che sto vivendo, ma soprattutto l’alba e il tramonto. L’alba è sempre un’aspettativa di una giornata positiva, di un programma da seguire, di obiettivi da raggiungere, di incontri possibili, di valorizzazione di aspetti della vita, del territorio e delle persone che ci stanno intorno. Il tramonto è un momento di riflessione, un po’ malinconico, in cui fai il bilancio della tua giornata e ti predisponi al giorno seguente».
Vorrebbe fare l’eremita?
«In effetti un po’ eremita lo sono già. Non nel senso letterale del termine, sarebbe anacronistico, ma dal punto di vista virtuale, mentale e dell’anima. Trovo, nella solitudine, una gratificazione interiore molto profonda, anche di meditazione e di ricerca di me stesso. Mi piace isolarmi per meglio contemplare, meditare e pensare, ecco».
Tiene anche lezioni naturalistiche ai ragazzi delle scuole del Roero. Quanto è importante sensibilizzare i giovani?
«Alle future generazioni dobbiamo consegnare ciò che ci è stato solo affidato. La Terra non è nostra. Dobbiamo accudirla, curarla per i nostri figli, i nostri nipoti, per coloro che verranno dopo di noi. Tutti i bambini e i ragazzi, fin dalla scuola dell’infanzia, devono essere maggiormente sensibilizzati sulle problematiche della biodiversità, del cambiamento climatico, dell’economia circolare, dell’uso sconsiderato del suolo, della necessità di abolire la plastica, delle fonti energetiche rinnovabili, di tutti quelli che sono i problemi di carattere ecologico ambientale. Canale Ecologia mi ha delegato ad accompagnare e assistere le scolaresche in ambiente scolastico e a tenere lezioni nei boschi, opzione che preferisco. Parlare di ecologia, geologia, botanica, scienze naturali e raccontare storie e leggende è il valore aggiunto che cerco di dare a chi cammina con me, giovani o adulti che siano».
Punta a qualche nuova apertura?
«Il prossimo sentiero che spero di aprire sarà un anello che collegherà Bra con le Rocche del Roero. Un altro collegamento, praticamente già tracciato, sarà tra Montaldo Roero a Ceresole d’Alba, senza passare su strade asfaltate, attraversando esclusivamente alcuni dei boschi più estesi e storici del Roero, l’antica “silva popularis”».
Articolo a curadi Elio Stona