Gli anni tra la fine del 1700 e la fine del 1800 sono stati anni travagliati per i territori di destra e sinistra Tanaro a causa, soprattutto, dei numerosi banditi che qui compivano le loro scorribande, arrivando sovente sino a Torino e in Liguria.
I nomi di questi personaggi ancor oggi sono ricordati nei racconti popolari dove, talora, vengono descritti come novelli Robin Hood. In realtà non derubavano e rapinavano i ricchi per dare ai poveri, bensì per gonfiare le proprio tasche senza dover lavorare. Questi predoni erano membri di bande organizzate sotto la guida di un capo, la cui autorità era indiscussa. Vediamo ora quali erano le bande e i banditi più noti di Langa e Roero.
Il più celebre di tutti è certamente Francesco Del Pero, detto Rejnerone, capo della banda omonima. Nato a Canale il 18 settembre 1832 finisce in prigione, a Saluzzo, la prima volta a sedici anni per un ferimento. Da allora ferimenti e uccisioni non si contano più. Finisce più volte in galera e nel 1857 evade dal bagno penale di Genova dove scontava una condanna a vent’anni di lavori forzati. Da allora la “banda Del Pero” terrorizza Bra e i suoi dintorni. Agli ordini del Rejnerone ci sono Angelo Allegato di Gattinara, conosciuto in carcere a Saluzzo, Antonio Bonino “Tabachin”, di Bra come Francesco Piumati “l’eui”, Giovanni Aimasso “Burri”, e Giuseppe Piovano. Di Sommariva Perno era Giacomo Nervo “Corin”. Fiancheggiatori della banda erano Maria Caretto vedova Dogliani “la marin-a”, descritta come la perdizione della gioventù, con la figlia Marianna costretta dalla madre a prostituirsi, e il figlio Giovanni. Del Pero e Allegato vengono arrestati a Vigone il 5 agosto 1857, gli altri componenti della banda e i tre fiancheggiatori vengono catturati a Bra il 16 novembre. Il processo si celebra a Torino e termina con la condanna a morte per Del Pero, Giovanni Dogliani, Bonino, Piovano. Aimasso, prima condannato a morte, vede poi commutare la sua pena nei lavori forzati a vita. Allegato, Piumati e le due Dogliani vengono assolti. Manca il Nervo, che all’epoca era in carcere a scontare un condanna per percosse. I quattro condannati a morte vengono giustiziati per impiccagione il 31 luglio 1858 a Bra nel piazzale antistante la stazione. Attorno alla figura del feroce bandito sono cresciute numerose leggende che qui non riteniamo di dover riportare.
La “banda Artusio” o “dei vinattieri” era capeggiata da Piero Artusio “Pcit” e dai cugini Giovanni e Vincenzo, tutti di Vezza. Fanno parte della banda Giovanni Domenico Guercio “Medichin”, di Torino, Michele Violino “fate ’n sa”, di Moncalieri, Lorenzo Magone, Luigi Vezza e Maurizio Spinelli. Inoltre ci sono numerosi altri complici occasionali. Questi briganti operarono principalmente nel Pinerolese. La maggior parte di loro viene arrestata a Torino nell’ottobre 1846 con l’accusa di 134 aggressioni e 4 omicidi. Il processo termina il 22 febbraio 1850 con tre condanne a morte per impiccagione (Guercio, Violino e Magone) eseguite al Rondò d’la forca di Torino il 18 aprile 1850. Alcuni vengono condannati ai lavori forzati, con pene varianti dai 17 anni a tutta la vita e altri alla reclusione dai 5 ai 10 anni.
Formatasi nel 1801, la banda “dei fratelli di Narzole” era composta dai fratelli Giovanni e Giambattista Scarsello e dal loro cugino Domenico Fournier. Ne facevano parte anche Stefano e Gioanni Perno (i Gobetto), Bartolomeo Gancia, Sebastiano Vivalda, Gian Battista Dogliani (berluche), Vincenzo Taricco (l’urs) e Blengino (’l sop). Il mito popolare racconta che Giovanni Scarsello fosse gentile, di buone maniere e rispettoso nei confronti dei paesani. Dopo essere sfuggiti più volte alla cattura, i banditi lasciano Narzole e operano a Torino, in Val di Susa e in Val d’Aosta, per poi ritornare al loro paese. Le imprese della banda terminano nel 1808 e il 4 novembre arriva la sentenza: quattro vengono condannati a morte per ghigliottina (in piazza Carlina a Torino), altri ai lavori forzati e altri ancora al carcere duro.
A destra Tanaro operava anche Antonio Domenico Stella, il bandito delle Langhe, le cui vicende iniziano nel 1848. Stella era nato a Cossano Belbo nel 1828 e viene condannato a morte una prima volta il 7 maggio 1849 ma, essendo all’epoca minorenne, la pena viene tramutata in 20 anni di carcere. Nel 1851 evade dal carcere sardo dove scontava la pena e ritorna in Langa. Alle due di notte dell’11 novembre 1853, durante uno scontro a fuoco con i carabinieri, Antonio Stella viene ucciso dal maresciallo Bartolomeo Rantrua. Il fatto avviene vicino ad un ruscello che ancora oggi porta il nome “rian de Steila”.
Il più celebre, il più bello, il più leale dei malfattori torinesi è certamente “el cit ed Vanchija”, al secolo Antonio Bruno, di Canale, che nel 1865 costituisce un’associazione di briganti nota come “gli amici di Borgo Po”. Costoro per tre anni operarono, sempre a Torino, una serie di furti in alloggi, alberghi, negozi e anche nella sede centrale delle poste. Nel 1868, grazie ad alcune spie, la questura inizia ad arrestare i membri della banda. “El cit ed Vanchija” riesce per due volte a sfuggire all’arresto: la prima saltando nel cortile dal balcone del primo piano dell’Osteria del Pesce d’Oro di Moncalieri e la seconda fuggendo dalla stazione di Vaglierano. Da allora Antonio Bruno sembrava essere scomparso nel nulla! Secondo alcuni si era rifugiato in Francia o in Svizzera, secondo altri era ritornato a Canale.
La banda “dei fratelli Sperone” era composta da Battista, Giuseppe e Giovanni, il più feroce, tutti di Canale. Il quarto complice è Lorenzo Varrone di Santena. Il cronista Curzio della Gazzetta Piemontese fa un racconto particolareggiato delle imprese brigantesche della “Banda Sperone” in un suo articolo del 13 luglio 1872. Il pomeriggio del 24 settembre 1869, in un vigneto di Lombriasco, una pattuglia formata dal brigadiere Fornelli e dai carabinieri Bonacina, Robbiano, Ridoli, Gamba e Dalmazzo inizia uno scontro a fuoco con i banditi in cui Bonacina e Robbiano restano feriti, mentre il brigadiere uccide Giovanni Sperone. Gli altri tre componenti della banda vengono arrestati e rinviati a giudizio il 18 agosto 1870 per sei grassazioni, complicità in assassinio e ribellione armata con omicidio mancato. Battista muore in carcere il 21 maggio 1871 a causa delle ferite riportate nello scontro a fuoco e Giuseppe si strangola in carcere il 17 settembre 1871. Il Varrone, che mentre veniva tradotto in tribunale si era buttato da un’altezza di sette metri, una volta ristabilito viene condannato alla pena dei lavori forzati a vita.
Articolo a cura di Elio Stona