A differenza di buona parte delle altre tipologie di scienza, quella forense si occupa di tutto ciò che è insolito. Chiaramente, non è normale che avvengano omicidi o che si verifichino delitti, per cui la maggior parte delle persone non ne ha esperienza diretta. Si informano attraverso i mezzi di comunicazione in merito alle circostanze in cui è maturato il delitto, perché sono incuriositi e vogliono farsi una propria idea di come siano andati i fatti e di chi sia il colpevole.
In tal senso, le serie televisive hanno influito sulla presunta capacità di giudizio dell’opinione pubblica. Si è creato il cosiddetto “effetto Csi”, dal nome della popolarissima serie statunitense che mette al centro le procedure di investigazione della polizia scientifica. A prodotti televisivi come Csi viene spesso mossa una critica: qualcuno pensa che far vedere le tecniche investigative e di indagine, mostrare i cosiddetti “trucchi del mestiere” potrebbe migliorare le capacità professionali dei delinquenti e, in qualche misura, insegnare loro come fare a sottrarsi all’identificazione da parte delle Forze dell’Ordine. In realtà chi commette rapine ha nulla da imparare da un telefilm…
È innegabile che la mole di prove forensi e lo sviluppo delle indagini degli ultimi anni, più che sull’opinione pubblica, ha avuto un impatto sull’esito dei processi. Prima, infatti, ci si basava molto sulla testimonianza, sulle confessioni, anche se le stesse prove testimoniali sono sempre state poco gestibili, dal momento che è difficile parlare di “scienza” nell’ambito delle testimonianze. Con la scienza forense, invece, il sistema della giustizia ha senza dubbio portato elementi più certi, basati su logiche di analisi oggettiva e non di valutazione soggettiva.
L’utilizzo nel processo della prova scientifica ha rappresentato un tassello importante per riuscire a comporre il puzzle di competenza degli investigatori e dei magistrati (oltre che degli avvocati per la parte della difesa), affinché sia raggiunta la verità storica dei fatti, rendendo un servizio alla giustizia nel suo senso più ampio.
La verità storica è diversa dalla verità processuale. Nella verità che si ottiene al temine di un processo entrano in gioco tanti elementi, come la bravura degli avvocati. Si possono verificare casi di colpevoli assolti e, purtroppo anche di innocenti condannati. Per fortuna sono casi limitati, ma ci sono state sentenze che, a distanza di anni, hanno scagionato persone ingiustamente detenute.
È importante che l’“effetto Csi” si sviluppi sempre di più, perché se da una parte la scienza progredisce costantemente e ci sono scoperte nella biologia, nell’informatica e nel campo della tecnica vera e propria, dall’altra non si può prescindere dal ruolo dell’investigatore. È l’uomo che dà valore all’impianto dell’indagine. Faccio un esempio banale: una persona ne vuole incastrare un’altra e butta mozziconi di sigaretta fumate dal secondo su una scena del crimine. Il Dna trovato su quei reperti non basta per considerarlo colpevole. Bisogna cercare una serie di riscontri, verificare che quella persona potesse essere in quel posto in quel momento.
Chi investiga non dovrebbe sentirsi sminuito dall’apporto della scienza, perché tutto quello che aiuta a trovare la verità è benvenuto; non deve però diventarne succube. Perché è giusto che chi indaga si affidi alla scienza, ma il patrimonio di prove deve poi passare al vaglio della sua logica investigativa, della sua esperienza, della sua capacità di giudizio, del suo buon senso. La nuova frontiera delle scienze forensi deve essere addomesticabile dall’investigatore e non rappresentare l’unica strada che conduce alla soluzione del caso. La competenza e la capacità di maneggiare queste tecniche scientifiche deve essere tenuta nella giusta considerazione, ovvero non di verità assoluta, ma di verità possibilistica. Anche la scienza aspira ad essere infallibile; per non incorrere in errori l’investigatore deve muoversi senza dimenticarsi che, invece, in certi casi essa può fallire.