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«Io, sotto scorta spero in un’Italia con tanti cantieri»

Giletti: «cominciamo dalle piccole opere per ripartire» «Siamo davanti a un bivio, non possiamo sbagliare. Il Recovery Fund è la grande occasione, ma vedo che la politica si perde dietro a una guerra di bande. E raccontare questa realtà in tv facendo giornalismo d’inchiesta non è facile: ne so qualcosa...»

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Giletti, dal suo osser­va­torio televisivo, qual è la fotografia de­l­l’attualità italiana?
«È una foto buia. Siamo nell’ora delle armi. In questo momento ci troviamo in una situazione simile a quella degli Usa dove il Governo è finito sotto l’attacco dei vandali e la democrazia è spaccata».

Quindi che cosa succederà?
«Siamo davanti a un bivio, un po’ come alla fine della prima Repubblica. È un momento gra­ve e dobbiamo essere in grado di affrontare ciò che ci troveremo di fronte».

Dobbiamo aver paura?
«Il punto è che se falliamo adesso, fallisce l’Italia. Non bisogna sbagliare scelta, il rischio è di salire sul treno sbagliato, con il biglietto di sola andata senza ritorno».

Tutto questo caos per gli attacchi di Renzi?
«Renzi aveva posto il problema da mesi, ha puntato i riflettori sulla qualità e sulla competenza di certi protagonisti che dovrebbero portare avanti gli interessi dell’Italia in questo momento. E ne ha evidenziato la superficialità».

Quindi è stato un intervento in un certo senso provvidenziale?
«Ha spaccato come sempre in due la scena politica. Lui segue sempre una sua liturgia, non si limita mai a fare il gregario. Ha fatto bene o ha fatto male? L’ha fatto, ha creato una spaccatura che ha messo in luce le lacune del piano per il Recovery Fund».

Ma sarà servito a qualcosa?
«Questo è il punto. Ora domina il buio, c’è da essere preoccupati. La politica continua a fare l’elenco delle cose che non vanno: sanità, scuola, divario tecnologico… Ma ormai tutti sappiamo che sono i punti dolenti. Il problema è che non ci dicono mai che cosa bisogna fare e chi lo farà. Nessuno spiega come affronteremo e risolveremo i problemi».

Vale anche per l’emergenza sanitaria?
«Certo, ogni volta prevale la burocrazia e per andare avanti in qualche modo ci si affida ai commissari. Le opere pubbliche non arrivano mai a essere completate, ci vogliono almeno set­te-otto anni. È assurdo».

E l’Europa ci bacchetta…

«L’Europa stavolta ci dà i soldi, ma solo se non li sprechiamo distribuendoli a pioggia. Ecco perché c’è bisogno di persone competenti in questa fase. Il dramma è che non ne vedo all’orizzonte».

Cosa dovrebbe fare nell’immediato il Governo di Conte?
«Dovrebbe agire con grande senso di responsabilità cercando ampie intese, come una volta accadeva in tempo di guerra. D’altronde questo che viviamo è un dramma simile e va affrontato con un Governo forte».

Forte in che senso?

«Che sia capace di mettere da parte gli interessi politici per il bene del Paese. Che abbia la capacità di sviluppare un programma serio su cui lavorare a testa bassa. Un Governo di larghe intese. Se così fosse, alle elezioni potremmo pensarci an­che tra due anni. Perché in questo momento non ci sono prospettive».

Quindi niente elezioni adesso?

«Sarebbero una perdita di tem­po, forse neppure il centrodestra vorrebbe salire al governo in questa fase. Meglio che le forze politiche si uniscano nell’e­mer­genza alla ri­cerca di soluzioni concrete».

C’è chi sostiene che il Recovery Fund rappresenti una grande oc­ca­sione co­me lo fu il Piano Mar­shall per il do­po­guerra.
«Può esserlo, ma all’epoca c’era un altro scenario e avevamo personalità politiche di ben diverso spessore. Allora c’era De Gasperi che andò a confrontarsi negli Stati Uniti. Oggi chi potrebbe avere un ruolo del genere? Bonafede? Toninelli? Non credo proprio».

L’elenco potrebbe essere lungo…

«Perché è evidente la crisi della classe dirigente. Oggi si parla tanto di burocrazia, ma non sarebbe quello il problema se ci fosse una politica all’altezza».

Con il suo “Non è l’Arena” ha portato più volte alla luce l’inefficienza del sistema e l’inadeguatezza, appunto, dell’attuale classe dirigente…
«L’abbiamo fatto drammaticamente e pagando un prezzo alto. Sono sotto scorta e vi assicuro che non è una situazione facile. Purtroppo, la forza delle idee e il coraggio di andare avanti hanno un prezzo. Del resto a fare giornalismo d’inchiesta in tv siamo rimasti noi e “Report”».

Qual è l’aspetto peggiore evidenziato nelle ultime trasmissioni?
«Direi le fughe di alcuni ministri davanti alle domande scomode. E poi ormai è evidente che in Italia la meritocrazia non valga più. Prendiamo la vicenda del piano sulle pandemie mai aggiornato. Io a Francesco Zambon, che ha rivelato i ritardi, darei un premio. In Italia c’è ancora chi combatte contro le storture, ma va aiutato».

Ci si affida alle individualità in un sistema che non funziona?
«Sinceramente credevo che chi gridava “onestà” avrebbe poi fatto qualcosa per cambiare. Invece questa visione è stata tradita, ciò che resta, lo abbiamo visto in quest’ultima crisi di Governo, è una guerra tra bande».

Dovrebbe intervenire Matta­rella?

«Il presidente dovrebbe farlo davanti a una situazione del genere».

E per far ripartire l’economia?

«Basta soldi per il reddito di cittadinanza e massimo impegno per le opere pubbliche. Bisognerebbe cominciare a riaprire i piccoli cantieri, con coraggio. Fare i lavori di manutenzione. Il ponte di Geno­va è un simbolo: l’Italia è così, come il ponte che crolla e provoca una tragedia, ma anche come lo stesso ponte che viene ricostruito in tempi record. Siamo capaci di distruggerci e di rinascere».

Perché dai telegiornali non esce un’informazione aderente alla realtà?

«Fare informazione non è facile, si risponde sempre a interessi superiori. Come ho detto, sono sotto scorta».

Ci sono persone che, in questo quadro, potrebbero distinguersi e fare il bene dell’Italia?
«Il sistema rende difficile l’intervento di un solo personaggio. Il mio sogno sarebbe quello di vedere qualcuno come Draghi presidente del Consiglio. Ma anche lui poi si scontrerebbe con i vincoli della burocrazia. E allora? Dobbiamo tutti impegnarci per cambiare le cose».