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«Alla fine, lo Stato vince sempre»

Il capitano Giovanni Ronchi guida la Compagnia dei Carabinieri di Alba puntando su presenza e ascolto

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È estremamente orgoglioso dell’uniforme che indossa, di rappresentare lo Stato, di essere, ogni giorno, al fianco dei cittadini. Lo si intuisce dalla passione e dalla determinazione con cui, da quattro mesi a questa parte, guida la Com­pagnia dei Carabinieri di Alba. Stiamo parlando del capitano Giovanni Ronchi. Lo abbiamo intervistato.

Capitano, è arrivato ad Alba quattro mesi fa. Com’è stato l’impatto?
«Dopo un’intensa esperienza operativa nella periferia napoletana, ad Alba ho ritrovato un territorio più affine a quello delle mie origini (Treviglio, in provincia di Bergamo, nda). L’impatto è stato molto positivo, non solo per ciò che rappresenta quest’area in sé, per i suoi cittadini e per le sue realtà economiche, industriali e turistiche, ma anche per le professionalità che costituiscono la Compagnia dei Carabinieri che ho l’onore di guidare».

Conosceva già questa zona?
«Avevo sentito più e più volte parlare delle Langhe: Alba e le sue colline, per l’importanza turistico-economica che rivestono, sono un autentico patrimonio e un vanto nazionale. Tut­­tavia, non avevo mai avuto oc­casione di visitare questi luoghi: davvero magnifici».

Cosa l’ha colpita?
«Come dicevo, conoscevo le importanti aziende che affondano le radici nelle Langhe e le eccellenze enogastronomiche che hanno reso questo territorio uno dei migliori biglietti da visita del “made in Italy” a livello mondiale, ma poterle vivere da vicino, nella quotidianità, è per me motivo di grande soddisfazione e orgoglio».

Quali sono, invece, le problematiche maggiori?
«È purtroppo del tutto fisiologico che, a fianco di una significativa crescita come quella vissuta dall’Albese, si siano sviluppate dinamiche criminali legate al­l’erosione del patrimonio economico. I reati contro il patrimonio e i furti in abitazione rappresentano alcuni degli eventi criminosi di maggior rilievo; non mancano nemmeno le truffe a danno delle fasce più deboli della cittadinanza e, in particolar modo, degli anziani».

Come si eliminano o, comunque, si contrastano questi reati?

«Attraverso il lavoro dei circa 100 uomini e donne in divisa impegnati nelle 11 Stazioni Ca­rabinieri facenti capo alla Com­pagnia di Alba, l’Arma ri­sponde in modo puntuale alle necessità di controllo territoriale e assicura la propria vicinanza ai cittadini che, in qualsiasi momento, trovano nel “112” un aiuto preciso e professionale».

Il suo giudizio sulla Compagnia di Alba.
«Negli anni, come del resto si è verificato in tutta Italia, la no­stra istituzione è cresciuta di pa­ri passo con il territorio e, pertanto, oggi è in grado di rispondere alle crescenti esigenze di una zona che fa della capacità im­prenditoriale, dello sviluppo economico, culturale e turistico il suo tratto distintivo. I nostri Ca­rabinieri rappresentano il cuore pulsante della presenza dell’Arma in città, così come nei borghi più piccoli, ed è grazie al loro quotidiano operato se queste zone rimangono, come so­no, luoghi tanto ospitali».

Il vostro ruolo durante la pandemia da coronavirus.

«In oltre 206 anni di servizio, L’Arma ha accompagnato e supportato il Paese durante ogni stravolgimento, calamità o e­ven­to che ha poi lasciato, in positivo o in negativo, un segno indelebile. La situazione che stiamo vivendo da quasi un anno rappresenta forse uno dei momenti più difficili della storia recente, nostra e del mondo intero. In questo contesto, noi Ca­rabinieri vigiliamo sul rispetto delle normative anti contagio, in uno spirito di vicinanza alle persone e con lo scopo di tutelare la salute pubblica».

Vigilate anche affinché i vaccini anti Covid vengano distribuiti in sicurezza, vero?
«Ricordo con emozione il primo giorno di distribuzione delle dosi di vaccino. Poter essere, an­cora una volta, vicini ai nostri concittadini, garantendo un’a­deguata cornice di sicurezza per la distribuzione delle prime iniezioni, è stato un momento molto bello e ha dimostrato, se mai ce ne fosse bisogno, quanto sia fondamentale il ruolo dei Carabinieri».

Non avverte, così giovane, la responsabilità di essere a capo della sicurezza di un territorio tanto importante?

«Il percorso formativo che ogni ufficiale dell’Arma segue fornisce gli strumenti idonei a svolgere un compito del genere: è certamente impegnativo, ma non ci si sente mai gravati. Cia­scuno di noi è mosso da un profondo senso di appartenenza al­l’Istitu­zione e ai suoi principi».

Le capita mai, durante le operazioni, di avere paura?
«La paura è un sentimento naturale quando ci si trova in contesti di pericolo. Attraverso il continuo addestramento, il corretto utilizzo dei mezzi e dei materiali in dotazione e l’esperienza ma­turata nel corso degli anni, impariamo a gestirla, sapendo di poter affrontare un possibile pericolo secondo precise procedure operative che garantiscono il rispetto della sicurezza; sicurezza che, nel limite del possibile, non deve mai venire meno».

Quali qualità non devono mai mancare a un Carabiniere?
«L’Arma chiede assoluta dedizione al servizio e spirito di abnegazione; ognuno di noi fa proprio il giuramento di fedeltà alla patria fin dal momento in cui decide di indossare gli alamari argentati. Personalmente, ritengo che la riservatezza e la lealtà, sia all’Arma che alla leg­ge, rappresentino le qualità im­prescindibili per ciascun Ca­ra­biniere. Grazie alla professionalità e alla presenza che assicuriamo e alla capacità di ascoltare ed entrare in empatia con chi si rivolge a noi, siamo sicuramente tra le istituzioni più amate e apprezzate a livello nazionale e internazionale».

Quanto è importante per un Ca­rabiniere la famiglia?
«Gli impegni che la vita in divisa comporta sono tali non soltanto per noi, ma anche per le nostre famiglie, senza il supporto delle quali tutto sarebbe ancor più complicato».

Qual è stato il momento più difficile che ha vissuto?

«L’esperienza in Campania, precedente al mio arrivo ad Alba, ha rappresentato un periodo, sotto molti aspetti, complesso, ma allo stesso tempo altamente formativo».

Non si è mai pentito di aver in­trapreso questo percorso?

«Tutti, nella propria vita, vivono momenti di scoramento, che però vengono controbilanciati dalle soddisfazioni. Se dovessi tirare un bilancio dei primi dieci anni in uniforme, non potrei che definirlo positivo».

A proposito, la sua più grande soddisfazione?

«La soddisfazione di garantire alla giustizia criminali datisi alla fuga, talvolta anche per lunghi periodi, è un qualcosa di difficilmente spiegabile a parole. Chi sceglie di intraprendere una vita in contrasto con la legge è pienamente cosciente di essere la pedina di uno scacchiere che subirà, presto o tardi, lo scacco matto dello Stato che, alla fine, vince sempre».

La attendono ancora molte sfide. Da chi si farà ispirare?
«La lama della mia sciabola porta incisa la celebre frase del giudice Paolo Borsellino “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola!”. Lui e il magistrato Gio­vanni Falcone rappresentano due colonne, due eroi civili del­la lotta alla criminalità, esempi di altissima dedizione al servizio dello Stato. Non ho la presunzione di ispirarmi a loro, ma cerco di operare, al mio livello di competenze, con impegno e dedizione, nel rispetto anche del loro sacrificio».