«Ho rimesso gli sci perché all’aperto è tutta salute»

Sgarbi: «Il Covid ha fatto accettare regole insensate; l’aria pura non favorisce contagi»

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Vittorio Sgarbi, come si vi­ve in questa realtà do­ve le nostre vite so­no vincolate dalla si­cu­rezza sanitaria?
«Si vive male e anche il Governo ormai ha perso certezze perché c’è già anche qualcuno che arriva alla Corte Costituzionale per contestare le regole imposte dai Dpcm. Chi amministra ha equivocato i suoi compiti, che non sono quelli di li­mi­tare le libertà individuali. An­che se purtroppo questo è accaduto in tutta Europa».

Le persone come stanno reagendo?
«In Italia tutta la popolazione è preoccupata, anche perché le regole non sono ispirate al buon senso. Io mi trovo a due chilometri dal Veneto, ma non posso assolutamente attraversare il Po. Sono limitazioni incostituzionali e irragionevoli. Ora, capisco se voglio andare in una discoteca… ma se devo far visita ai miei cari al cimitero per quale motivo non posso andarci? Che regole sono?»

Domina la confusione?

«C’è sempre più panico. Chi è vaccinato, per esempio, dovrebbe circolare liberamente. Invece, anche se sarà immunizzato, dovrà continuare a mettersi la mascherina. Questa è una follia. Siamo nelle mani di diciotto ministri che si sono fatti suggestionare dalla si­tuazione. E fanno assembramento a Montecitorio, mentre fuori i teatri sono chiusi».

Qual è la sua posizione a proposito dei vaccini?

«Ricevo migliaia di messaggi di “no-vax” che chiedono il mio so­stegno, ma io sono favorevole alle vaccinazioni, così come lo ero ogni volta che ho fatto un viaggio in India o, per dire, in Birmania. In situazioni di rischio, non vedo perché non dovrei fidarmi di una co­pertura vaccinale».

Quindi è anche favorevole alla vaccinazione obbligatoria?
«Io dico che se uno non vuole essere vaccinato rappresenta un pericolo solo per sé stesso, non per gli altri. Io sono felice di ricevere il vac­cino perché presumo che sia utile, ma sono anche convinto che si debba evitare che i cosiddetti “no-vax” siano soggiogati dal ricatto, ed evitare le conseguenze sulle li­mitazioni della libertà. Se non rappresentano, come sono convinto, un pericolo per quelli che si saranno vaccinati, perché obbligarli?».

Che umanità troveremo una volta passata la bufera del Covid?
«Per ora è un’umanità impaurita e non so prevedere che cosa accadrà. Sarà euforica o rassegnata, a seconda dell’esito. Comunque, un’u­ma­nità umiliata ed è grave perché sarà il risultato di questa dittatura sanitaria. Ci siamo ormai convinti che dobbiamo rinunciare alla libertà per il nostro bene, è un mondo capovolto».

Intanto ci si abitua a tenere le distanze.

«Questa sarebbe la prima e unica regola da osservare, come aveva detto Borrelli fin dall’inizio del contagio: la mascherina non ser­ve se si rispetta la distanza di un metro e dieci, all’aperto a maggior ragione. Se invece me ne sto chiuso in casa, non faccio altro che coltivare il virus, con tutta una serie di conseguenze negative. L’a­spetto peggiore è stato quello della chiusura, con la stessa logica, di ristoranti, cinema, teatri e stazioni sciistiche con numerose limitazioni intollerabili. Ne parlo spesso con i miei colleghi parlamentari: ma loro si concentrano solo su vittime del Covid e medici in prima linea, come se fossimo in piena pestilenza».

I telegiornali continuano a raccontare la pandemia con toni ansiosi: che ne pensa?
«È un bombardamento mediatico a senso unico. Mi aveva colpito, durante la prima ondata, la storia di quel signore di Biella multato in bici perché fermato con tre bottiglie di vino che aveva ap­pena acquistato. Trat­tato come un delinquente. La spiegazione era: se vai in bici, cadi e devi andare al pronto soccorso non va bene perché togli spazio all’emergenza Covid. Qualcosa di assurdo. Ep­pure, nessuno ormai protesta più, nessuno discute: la ma­sche­rina la mettono ovunque, ad­di­rit­tu­ra le persone se la tengono quan­do si fanno i “selfie”».

Il Covid cambierà profondamente le nostre abitudini?

«Lo sta già facendo con la repressione e il coprifuoco. Ma ci rendiamo conto? In Italia, a parte le me­tropoli, tutte le città sono vuote dopo cena. A cosa serve il coprifuoco? Se è per vietare gli assembramenti in discoteca, d’accordo. Ma se vado al ristorante, rispettando le norme, che problema sarebbe? Qual è la logica?».

La libertà delle persone è in pericolo?
«La libertà è diminuita. Oggi credo che solo un 20% o 30% della po­polazione riesca ancora a rimanere lucido davanti a ciò che sta accadendo, gli altri sono rassegnati o si accodano alle di­rettive, moltissimi nel dub­­bio cedono alla preoccupazione per il virus. E così, pure di fronte a decisioni ingiuste o in­com­prensibili, nessuno si lamenta. Lo abbiamo visto anche per la chiu­sura delle piste da sci, una misura che ha costretto i gestori a rinunciare a ogni entrata. Per la riapertura se ne riparla al 15 febbraio, quando la stagione sarà quasi finita. Eppure, non ho visto alcuna protesta».

Lei una protesta simbolica l’ha messa in campo ad Asiago.

«Sono andato a fare sci di fondo in una bellissima giornata di sole, all’aria pura. Erano 40 anni che non mettevo gli sci ed erano tutti stupiti. Ma ho spiegato che stavo solo facendo del bene a me stesso, stavo curando la mia salute senza arrecare alcun pericolo».

Che futuro prevede per la cultura?

«Come presidente del Mart di Rovereto, sono stato felice di celebrare la riapertura con una mostra su Boldini che ha avuto un grande successo».

E l’hanno fotografata senza ma­scherina.
«Certo, non ci sono riscontri scientifici sull’efficacia della mascherina. I dati invece dicono che solo nel caso si abbiano più di 70 anni si deve essere moderatamente preoccupati del virus, altrimenti nel 99% dei casi se ne viene fuori. Ci sono stati tanti esempi, anche di contagiati illustri, che hanno smaltito la malattia in due settimane, così come avviene per tutte le pa­tologie influenzali».

Qualcuno potrebbe obiettare che lei non è un virologo…

«Io valuto i dati. Per i ragazzi fino a 15 anni non esiste un rischio reale, così come è molto raro che in quella fascia d’età si debbano registrare decessi per situazioni come arresto cardiaco, ictus o cirrosi. E allora perché costringere i giovani alla cattività, tenendoli fuori dalle scuole?».

Non trova però che il problema della gestione del Covid sia comune a tutti i governi del mon­­do, non solo per quanto riguarda l’Italia?
«È la conseguenza della globaliz­za­zione. Per tornare al discorso di prima, sì: la democrazia è cambiata in tutto il mon­do occidentale. Ormai è legata a logiche internazionali più che
locali».