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Il passato ci parla attraverso i fossili

Una lunga serie di ritrovamenti, dai più piccoli ai mastodonti, racconta di quando il nostro territorio faceva parte dell’immenso Golfo Padano

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Ci sono misure che è difficile sia capire che spiegare. Per facilitarsi il compito si ricorre a paragoni, usando come termine un qualcosa che ci è più familiare. Vediamo alcuni esempi: una balenottera azzurra pesa circa 150.000 chilogrammi che corrispondono all’incirca al peso di 25 elefanti africani (6.000 chilogrammi). Oppure la superficie della città di Torino (130 chilometri quadrati) corrisponde a quella di 18.200 campi di calcio (7.200 metri quadrati). Il grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa di Dubai, 828 metri, è alto come 5 volte la Mole Antonelliana (167 me­tri). È sempre difficile da immaginare, ma almeno un po’ ci aiuta. Più arduo, per non dire impossibile, è capire o spiegare la misura del tempo.
La nostra Terra, ad esempio, ha un’età calcolata in 4.540 milioni di anni. Come lo spighi? Dici che corrisponde a 39.770. 400.000.000 di ore? Ti impelaghi ancor di più. Che è come se un uomo (80 anni) avesse vissuto 56.750.000 di volte? Complicato era e complicato rimane. Tutto questo lungo prologo per cercare di capire quanti anni ha il nostro territorio e quanto sono datati i reperti fossili che qui si sono trovati.
In Età Pliocenica (5,3-2,6 milioni di anni fa) il mare occupava tutta la Pianura Padana e la costa si estendeva da Torino fino ai rilievi prealpini. Il Mon­ferrato era un’isola e le Langhe una penisola. Il Golfo Padano. Il clima era più caldo e più umido di quello attuale. Sulle terre emerse pascolavano ma­stodonti, elefanti, iene, ghepardi e gli antenati dei cavalli e dei ruminanti. Le acque erano abitate da crostacei e mammiferi acquatici, sirenidi e cetacei.
Circa 3-4 milioni di anni fa il fondale marino si è sollevato e, a una profondità di 10-40 metri, si sono depositate le sabbie di Asti. Nel Roero questi strati sono costituiti da sabbie grigie e giallastre. Questi strati sono generalmente molto ricchi di fossili.
Ma di che fossili si tratta? Dei più svariati: dalle foglie ai molluschi, dalle conchiglie ai pesci, dai cetacei ai mastodonti. Concentriamo la nostra attenzione sul ritrovamento dei fossili maggiori, visibili nel Museo Craveri di Bra o nel Museo Eusebio di Alba.
Iniziamo dall’importante fossile di un mastodonte (“Anancus arvernensis”), grosso mammifero proboscidato si­mile all’elefante, che è emerso nel luglio 2010, affiorando in un banco di marne normalmente coperto dalle acque del Tanaro, nei pressi di Verduno. Il reperto, di cinque milioni e mezzo di anni fa (Messiniano superiore), fu distrutto nell’estate del 2012 da scavi illegali, prima che fosse possibile completare le operazioni di recupero del più importante ritrovamento paleontologico degli ultimi decenni.
Altrettanto importante è il ritrovamento dei resti fossili di una balenottera nei pressi di Piana Biglini. Sia il mastodonte che la balenottera sono visibili presso il Museo Eusebio dove si trovano anche due impronte fossili di una grande foglia della palma Sabal major, al centro della quale è fossilizzato il pesce Alosa elongata, oltre a conchiglie, pesci, molluschi e libellule. Il cranio di un balenottero è stato ritrovato nel 1885 a San Michele di Bra.
Nel 1931, durante gli scavi per le fondamenta del seminario di Villa Moffa a Bandito di Bra, è venuta alla luce una zanna di elefante lunga 198 centimetri.
A Perlo, nei pressi di Ceva, nel 1850 venne ritrovata una mandibola di un rinoceronte di grande mole. Un esemplare fossile di rana sp. del Messiniano, venne ritrovato presso Cherasco nel 1978. Sempre nella “città delle paci”, presso il Tanaro, è stato ritrovato un fossile di pesce, il Globius ignotus, risalente a 5 milioni di anni fa.
Un fossile di sirenio costituto dal cranio e da una costola di un grosso esemplare di Metaxy­therium subapenninum, mammifero marino affine all’odierno dugongo, vissuto nelle acque del Bacino Padano intorno a 3 milioni di anni fa trovato da Federico Craveri nel 1876.
Il modello interno del carapace di un chelonio (ordine di rettili comprendente tartarughe e testuggini, ndr), un Testudo craverii, con scarsi frammenti ossei ancora conservati, venne ritrovato nel 1864 nei pressi di Santa Vittoria d’Alba.
Un secondo esemplare di chelone, proveniente dalla stessa formazione, appartiene invece alla famiglia Emydidae e viene classificato come Mauremys sp.
Oggi questi reperti sono visibili presso il Museo Craveri di Bra.
È di qualche settimana fa, anche se risale all’anno 2008, la notizia della scoperta di una serie di orme fossili impresse da un nuovo tipo di dinosauro, l’Isochirotherium gardettensis, un grande rettile, lungo oltre quattro metri, vagamente simile al coccodrillo, risalenti a circa 250 milioni di anni fa. Le impronte sono state rinvenute a circa 2.200 metri di quota nella zona dell’Altopiano della Gar­det­ta, da cui il suo nome, nell’Alta Val Maira, nel Comune di Canosio.
Questi sono solo alcuni esempi. Visitando i musei naturalistici di Torino, Asti, Cuneo, Alba e Bra si possono scoprire numerosissimi fossili di specie, sia vegetali che animali, oramai estinte o che sopravvivono in continenti diversi dal nostro. La lunghezza di questi reperti può variare dai pochi millimetri a svariati metri ma ognuno di essi è in grado di trasportarci in epoche lontane, quando il nostro territorio altro non era che l’immenso Golfo Padano.
Articolo a cura di Elio Stona