«I dati economici che stanno emergendo sono preoccupanti». L’allarme arriva dal segretario generale della Cgil cuneese, Davide Masera, che guarda con inquietudine alla situazione del mondo del lavoro della nostra provincia. Masera, saluzzese, da più di vent’anni nel mondo del sindacalismo e da cinque alla guida della Cgil Cuneo, tratteggia un quadro in chiaroscuro di questo ultimo, drammatico, anno: di fronte alla crisi del Paese alcuni settori hanno saputo rispondere; altri, al contrario, vivono profondissime difficoltà acuite dai mali storici della nostra zona. E così la “Cuneo felix” che abbiamo conosciuto, realtà perennemente in crescita, rischia di incepparsi.
Segretario Masera, a quasi un anno dallo scoppio della pandemia da coronavirus, qual è oggi la situazione del mondo del lavoro nel Cuneese?
«Dipende dai settori. Se il commercio e il turismo sono in grande difficoltà, notiamo invece che nel periodo giugno-settembre la produzione industriale è cresciuta del 2,7%, un dato confortante. Ma il punto vero della discussione è un altro: nelle grandi imprese con più di 250 dipendenti la crescita è stata quasi del 10%; in quelle da 50 a 250 dipendenti c’è stato un aumento limitato; nelle piccole i motori si sono fermati».
Che cosa significa?
«Che per anni in questa provincia si è raccontato che il piccolo è bello, ma oggi quel modello è a rischio. Certo, da noi la situazione è sicuramente migliore che in altre realtà dell’Italia, ma il timore che le piccole imprese possano andare strutturalmente in difficoltà c’è. E questo anche per problemi pregressi, su cui il Covid si è innestato e ha fatto da detonatore. Si imporranno probabilmente grandi ristrutturazioni industriali, dove sarà decisivo scommettere, nel quadro di un’economia circolare, sulla digitalizzazione; e bisognerà guardare, naturalmente, con attenzione alla questione ambientale, puntando sulla “green economy”. Dobbiamo capire se le nostre piccole aziende ne saranno capaci».
E in tutto questo, come dicevamo, ci sono questioni annose che oggi non sembrano più rimandabili, come i trasporti e i collegamenti della Granda.
«Il non aver costruito grandi infrastrutture fu una scelta politica degli anni ’50-’60 e oggi paghiamo quell’errore. Pensiamo ai collegamenti con la Francia, al Tenda e alle difficoltà sul Colle della Maddalena, alla mancanza di autostrade e alla nostra rete ferroviaria distrutta negli anni con scelte esiziali. Oggi dobbiamo riflettere su nuove opportunità: penso, per esempio, al porto di Savona e Vado, ai grandi poli logistici. Fino a oggi, però, è mancata la volontà di mettersi tutti insieme per occuparsi delle grandi vie di comunicazione e il risultato è che oggi, per produrre in provincia di Cuneo, si paga più che in altre zone».
Preso atto di questi problemi, cosa suggerite per cominciare ad affrontare le tante questioni sul tavolo?
«Smettiamo di pensare che la produttività sia sinonimo dell’andare più veloce. Le vie da seguire sono due: investimenti in tecnologia e investimenti sulla formazione. Qui da noi abbiamo una buona base di lavoratori preparati ma dobbiamo migliorare sulle competenze in modo che ciascuno, davanti a una crisi, non muoia insieme all’impresa. A questo aspetto si lega il mondo della scuola, che deve essere in grado di fornire le capacità per adeguarsi a una realtà del lavoro in continua mutazione, dove alcuni settori stanno scomparendo e altri si sono trasformati: per capirci, in Germania, spesso un manutentore non entra neanche più in fabbrica ma interviene da casa sua. Anche noi, dunque, non possiamo limitarci solo a difendere l’esistente ma dobbiamo pensare a un’evoluzione».
Voi oggi rappresentate in provincia di Cuneo 40.000 tesserati, di cui 23.000 sono lavoratori attivi e 17.000 pensionati. Alla luce di un pubblico così ampio, quali sono le battaglie più significative a cui vi siete dedicati ultimamente?
«Abbiamo lavorato moltissimo sulla questione degli stagionali del Saluzzese, occupandoci di accoglienza e contratti: questi ultimi sono aumentati nel 2019 del 53%. A ciò si lega l’impegno per i diritti universali, che ci ha visto in prima linea con discussioni e raccolte firme per un nuovo statuto dei lavoratori. E poi, naturalmente, la sfida culturale: questo è un problema importante. Organizziamo presentazioni, incontri e corsi di formazione con alla base un’idea di solidarietà collettiva che si nutre di un pensiero forte: fare un sindacato aperto, per tutti e non solo per una parte, non corporativo, capace di portare a casa più diritti per le persone».