“Vi scrivo una lunga lettera perché non ho tempo di scriverne una breve”. Si rischia la banalità utilizzando la celebre frase di Voltaire per introdurre una delle figure più influenti del mondo dell’editoria italiana. Però è un modo di pensare che, specchiato, si intravede anche nello scambio di battute con Elisabetta Sgarbi. Le sue risposte stringate, concise ma mai monche, restituiscono l’impressione di una persona che nelle interviste si prende il tempo necessario per togliere l’inessenziale, per arrivare al punto senza inutile spargimento di parole.
Oltre che editrice, Elisabetta Sgarbi è produttrice cinematografica, musicale e di eventi artistici. Dopo una laurea in farmacia, ha iniziato a lavorare nel mondo editoriale, dapprima presso Studio Tesi, successivamente in Bompiani, dove è stata ufficio stampa, editor e poi direttore editoriale per oltre 25 anni. Nel 2000 ha ideato il festival “La Milanesiana, Letteratura, Cinema e Scienza” che raccoglie attorno ai singoli temi personalità di spicco europee e mondiali del pensiero e dell’arte, di cui da 22 anni è direttore artistico. Dal 1999 produce e dirige le sue opere cinematografiche presentate ai più importanti festival internazionali (tra i suoi molti lavori cinematografici, “Non chiederci la parola. Il Gran Teatro Montano del Sacro Monte di Varallo”, presentato al Festival del Cinema di Locarno). Nel novembre 2015 ha fondato insieme a Umberto Eco, Mario Andreose, Eugenio Lio e altri autori e amici imprenditori La Nave di Teseo, di cui è direttore generale e editoriale. Da qualche settimana è anche presidente dell’Ente di Gestione dei Sacri Monti.
Elisabetta Sgarbi, leggendo la sua biografia, salta agli occhi come lei ricopra molti ruoli in tanti ambiti diversi. Cosa l’ha indotta a candidarsi anche a Presidente dell’Ente di Gestione dei Sacri Monti?
«Proprio per questo motivo. Non stavano cercando un tecnico, ma una persona che fosse in grado di pensare a una promozione dei Sacri Monti consapevole del ruolo che lo statuto assegna invece al direttore».
Quali saranno i punti cardine della sua presidenza?
«Rispetto dei ruoli imposti dallo Statuto. Salvaguardia delle risorse finanziarie e di competenze destinate alla tutela. Reperimento dei fondi per la promozione, che al momento non ci sono in misura sufficiente».
Si diceva prima dei tanti ruoli che ricopre. Uno dei più recenti e anche foriero di notevoli soddisfazioni è quello legato a La Nave di Teseo, un progetto editoriale anagraficamente molto giovane, eppure già capace di ottenere una serie di rilevanti successi e di affermarsi come casa editrice di qualità. Come avete fatto a raggiungere così presto tali traguardi?
«Molto lavoro, persone straordinarie che vi collaborano, fiducia da parte di librai e autori, che spero di potere sempre ricambiare. E anche coraggio e voglia di rischiare».
C’è stato un momento in cui la testa delle principali categorie di classifiche di vendita erano guidate dai titoli della sua casa editrice. È la sua maggiore gratificazione da direttrice generale ed editoriale?
«È una gratificazione, ma non è la maggiore e nemmeno l’unica. Il catalogo di una casa editrice (che è la cosa più importante) viaggia fuori dalle classifiche. Ma certo è possibile che i libri più amati oggi saranno il catalogo di domani. Non è detto, ma è possibile».
Che cosa interessa al lettore contemporaneo tanto da meritare di essere pubblicato da La Nave di Teseo?
«Non so se sia giusto aspettarsi da un autore che abbia da dire una cosa su un determinato argomento. È il “come”. Un vero autore deve avere uno sguardo nuovo su un argomento, che spesso è un argomento antico».
E negli altri suoi ambiti professionali quale è la soddisfazione maggiore che si è tolta?
«In genere non me le tolgo le soddisfazioni, me le tengo e insisto. Recentemente forse ciò che mi sta gratificando di più è stato puntare su un gruppo musicale poco noto, gli Extraliscio, portarli a Venezia con un mio film e portarli in gara al prossimo Festival di Sanremo».
Ecco, proprio a proposito degli Extraliscio. Di primo acchito sembrano un mondo piuttosto lontano dal suo. Cosa l’ha colpita e convinta a puntare su di loro?
«È un progetto non solo musicale, ma un modo di vivere che sento molto vicino a me. Extraliscio rilegge una tradizione, “porta il liscio fuori di sé”, attraverso una ricerca musicale molto colta e originale. Sono il vecchio e il nuovo, sono senza tempo perché seguono il bello che c’è nella musica, senza steccati. È una cosa che ho sempre praticato. Extraliscio è un modo di pensare. Consiglio di studiarli bene perché generano stupore ed è il modo giusto per guardare il mondo».
Dalle pagine di “Lei mi parla ancora”, scritto da suo padre Giuseppe, si percepiscono i contorni di un amore, quello tra i suoi genitori, fuori dal comune. Da adulta, quel rapporto di coppia è qualcosa a cui aspirare o rimane un modello irraggiungibile?
«Io tendo a pensare alla loro unicità. 65 anni di matrimonio, travagliato, conflittuale, folle: è irripetibile. Penso sia questo che ha affascinato così tanto Pupi Avati che ha voluto trarre un film da questa storia raccontata da mio padre Nino (è stato trasmesso in prima assoluta su Sky Cinema e in “streaming” su Now Tv, disponibile anche “on demand”, nda). I miei genitori per me sono un modello. Mi ha sempre colpito la loro intelligenza».
Se a questo contesto famigliare si aggiunge l’istrionica figura di suo fratello Vittorio, la domanda quasi inevitabile è: come erano i vostri pranzi di famiglia?
«Anarchici. In genere nostro padre, che onorava i riti e le abitudini, sedeva a tavola all’ora prestabilita. Però era solo, perché Vittorio, mia mamma e io eravamo affaccendati tra mille cose. Ma lui, imperturbabile, iniziava a mangiare e ci guardava pieno di interrogativi e un po’ di rimprovero».