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Ci vuol fegato ad avere cuore

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Caro scrittore anonimo (ai lettori, ma non all’allegro chirurgo), confesso che per un attimo, un attimo solo, ho pensato di minimizzare quel che è successo e di brindare con te alla retta via ritrovata. Stavo per metterla sul ridere, citando Groucho Marx: «Fare l’a­more con la propria moglie (o una compagna di lungo corso, nel tuo caso) è come andare a caccia a sparare ad anatre imbalsamate», oppure avrei potuto provare a cambiare le carte in tavola, usando Arthur Schnitzler: «A volte rappresenta un tradimento peggiore verso la don­na amata tenere tra le braccia lei anziché un’altra». Volevo fare lo splendido, insomma.
Mi è passato per la mente, ma me ne sono ben guardato, perché, in fin dei conti, quello che stai facendo ora è grave al pari se non più del tradimento stesso, anche perché penso che ci sia del dolo da parte tua. Se si ha tradito e poi ci si è pentiti, ci sono solo due strade per provare a rimediare: o si tiene l’altro all’oscuro sempre e comunque, facendosi carico da solo del fardello del senso di colpa, o lo si rende partecipe dei propri misfatti, mettendo se stesso e il rapporto nelle sue mani, lasciandolo libero di decidere se ripartire in­sieme oppure prendere al­tre strade.
Ma tutto ciò deve avvenire prima di sposarsi, non dopo. Non credo che tu non abbia pensato al paradosso a cui andresti incontro perseguendo il tuo intento malsano.
Autodenunciarsi dopo il matrimonio sarebbe come confessare di aver taroccato il contachilometri dell’automobile appena dopo averla appena venduta a un ignaro compratore. A che pro e con che faccia?
Qualcuno una volta ha detto: «Un uomo sincero è quello che non dice bugie inutili». Mi sembra una posizione che si può arrivare ad avallare, ma, a mio avviso, andrebbe integrata con un altro concetto: «Un uomo giusto è quello che dice le verità utili».
Scegli tu se essere sincero o giusto. Ma, in ogni caso, tacere il tradimento per confessarlo dopo il matrimonio non sarebbe né l’una, né l’altra cosa.