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«Ultima occasione con Draghi premier basta figuracce»

De Bortoli: «vietato fallire, tutto il mondo ci guarda» «Dopo il commissariamento della politica, serviva un Governo di unità nazionale. L’Italia in questo 2021 ospiterà anche il G20, siamo in una fase di tempo sospeso prima di scelte strategiche molto importanti: giovani e donne, si riparta da qui»

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Uno tra gli osservatori più qualificati del panorama po­litico, ma an­che economico, è sicuramente Fer­ruccio De Bortoli. L’ex direttore del Corriere della Sera, che alcune indiscrezioni avevano anche indicato come possibile nuovo portavoce del presidente Dra­ghi nel nuovo Consiglio dei Ministri, valuta per IDEA le prospettive di lavoro che attendono l’Esecutivo in questa fase molto delicata per l’Italia, tra la crisi Covid e le sfide per un futuro sostenibile.

Direttore, il premier incaricato Mario Draghi ha iniziato il suo lavoro: che cosa pensa della sua nomina e delle prospettive del nuovo Governo?
«Draghi è una risorsa della Re­pubblica, ma si tratta anche del­l’ultima possibilità. Forse è anche la più prestigiosa, però al tempo stesso, se questo progetto fallisse, per il nostro Paese significherebbe dover fare una pessima figura di fronte al mondo».

Perché gli occhi di tutto il mondo ora sono su Draghi?
«Non so quanti avrebbero im­maginato che, per risolvere la gravità del momento, sarebbe stato possibile mettere in campo l’italiano di maggior prestigio sulla scena internazionale. Ma se poi anche l’Italia migliore dovesse fallire nel suo tentativo di salvataggio, come non pensare che anche il “sistema Paese” sarebbe a quel punto a rischio fallimento? Mi auguro che ciò non accada, ovviamente; spero inoltre che quanti avevano detto che sarebbe stato l’uomo dell’“establishment”, il banchiere chiamato a tutelare gli interessi delle “élite”, lo lascino lavorare prima di emettere giudizi definitivi».

In ogni caso, si tratta di un momento decisivo per l’Italia.
«Lo è. Possiamo pensare qualsiasi cosa di Draghi, ma non dob­biamo assolutamente farci sfuggire questa occasione, considerando anche soprattutto il periodo a cui stiamo andando incontro».

È il Governo di unità nazionale auspicato dallo stesso presidente Mattarella?

«Diciamo che si tratta di un esperimento estremo, dopo che di fatto è stato effettuato il commissariamento della politica. Ma ora ci troviamo in una fase di tempo sospeso che non va sprecata. Si deve creare certamente un’unità nazionale at­torno a Draghi, con l’obiettivo principale di uscire dalla pandemia».

Draghi ha già stilato una lista di priorità?
«Lo capiremo strada facendo. Draghi non è affatto un debuttante sulla scena politica. Fu nominato direttore generale del Tesoro dall’allora presidente del Consiglio, Giulio An­dreotti, su proposta del ministro del tesoro Guido Carli, nel 1991, durante il percorso tra la Prima e la Seconda Repubblica. E poi Draghi è romano, non è un “barbaro del Nord” che arriva con la ruspa e neppure un “apriscatole pentastellato”. Co­no­sce bene certi equilibri. La nomina di Draghi sembra ancora più strategica se consideriamo l’agenda internazionale che per l’Italia prevede nel 2021 la presidenza del G20 con temi di grande attualità come la transizione energetica. A questo proposito, a novembre, a Glasgow, ci sarà anche la Cop20 sui cambiamenti climatici, mentre sono già stati aperti i lavori del B20, il “business summit” affidato al­la regia di Confindustria. In questo particolare anno, il Paese si trova al centro di grandi eventi e a maggior ragione si capisce perché dovremo evitare brutte figure. Draghi è una garanzia anche da questo punto di vista».

Lo è anche per lo sviluppo coerente del Recovery Plan?

«Intanto abbiamo già perso del tempo prezioso, visto che il termine per elaborare il piano scade a breve, il 20 febbraio. E, poi, chiamiamolo Next Ge­neration: suonerebbe già come un passo avanti. Ma neanche Draghi può fare miracoli. Cer­tamente, lui è il migliore tra quelli che possono occuparsi del futuro economico del­l’Ita­lia; se potrà farlo con una “go­vernance” ristretta e tecnica, al di là dei corporativismi, potrà ottenere buoni risultati. Sep­pure con una formula commissariale, non dimentichiamocelo mai».

Che cosa dovrebbe fare Draghi come prima azione?
«C’è molto da fare per l’Italia, soprattutto da anni non cresce più la produttività e non ci sarà una svolta finché non si deciderà di investire seriamente nel capitale umano e nelle competenze. E poi bisognerà mettere mano all’emergenza educativa, alla lotta contro le diseguaglianze. Tutto questo si può fare partendo dall’istruzione, passando da un miglioramento della condizione personale in generale e, particolarmente, di quelle delle donne e dei giovani che hanno pagato un grande prezzo con questa emergenza sanitaria».

L’informazione ha avuto un ruolo funzionale, può averlo da qui in avanti?

«L’informazione deve fare il proprio mestiere, non può concedere sconti. Deve poter rivolgere domande scomode. Que­sto, a volte, ha un effetto positivo, ma in altri casi favorisce anche la diffusione di notizie false: si accendono cioè i riflettori su soggetti che hanno poca trasparenza; il dibattito perde qualità, se non c’è spirito critico».

Il sistema sociale ed economico cambierà in qualche modo sulla spinta dell’emergenza Covid?
«Dopo la pandemia troveremo modificati alcuni dettagli, come già abbiamo constatato per il lavoro “smart” oppure per la di­dattica a distanza. Ma c’è da stare attenti ai risvolti meno positivi, quelli di una realtà sempre più parcellizzata, individualista e senza un’effettiva so­cialità. Alla gioia e alla bellezza di stare insieme non si può rinunciare. Adesso è difficile par­tecipare, da qui nasce l’alienazione. Si cerca rifugio nella di­mensione digitale, ma questa non può appagare certe aspettative. E c’è un imbarbarimento di costumi e relazioni. Lo vediamo in ogni settore, politica compresa. Ma questo è un altro discorso».