Giovanni Floris, a suo parere, il primo discorso politico di Mario Draghi quali scenari apre per l’Italia?
«Una legislatura che ha visto formarsi e sciogliersi mille alleanze di sapore e colore opposto gioca l’ultima carta. Spinte dall’autorevolezza del Presidente della Repubblica, le forze politiche si mettono tutte (o quasi) insieme, affidandosi alla figura più credibile che il Paese possa produrre. Ci si rivolge all’ex Governatore della Banca d’Italia ed ex Presidente della Bce, la persona che ha salvato l’Europa e la sua moneta dalla crisi. Le parole spese alle Camere dal Premier servono a ricordare, a tutti, in quale momento della storia si gioca la carta dell’unità nazionale».
In un primo momento molti paragonavano questo Governo tecnico a quello targato Monti: oggi si vedono differenze?
«Vedo una serie di differenze. Ne dico due. La prima è la più semplice, Monti doveva tagliare, Draghi potrà investire. Dico investire, non spendere, perché se questo governo si limitasse a spendere perderemmo l’ennesima occasione. Ma questo Draghi lo sa, lo ha detto più volte, dovranno prenderne atto tutti. Ricordo cosa mi disse tanto tempo fa il grande economista Modigliani (tra l’altro professore del presidente Draghi a Boston) in un’intervista radiofonica: una cosa è spendere soldi per comprarsi un gelato, una cosa è spenderli per comprare una vanga. Non è la stessa cosa. La prima ti dà un piacere effimero, immediato, con la seconda puoi costruirti un futuro. L’altra differenza che vedo è che Monti arrivava in seguito ad una profonda crisi non solo politica, ma anche di sistema. Il Paese era sull’orlo del baratro economico, terminava nella bufera finanziaria l’era Berlusconi, rischiavamo il “default”, il blocco degli stipendi e delle pensioni, l’intervento era doloroso e inevitabile. Draghi arriva in un momento molto importante, anche drammatico per molti versi, ma è una crisi legata all’epidemia, fenomeno che riguarda l’intero pianeta, non solo il nostro Paese. E per quanto riguarda l’Italia, l’esecutivo di unità nazionale arriva in seguito ad una crisi politica di più bassa intensità, determinata da una rilevante ma piccola forza di governo che ha lasciato la maggioranza».
Quali saranno i politici in grado di ritagliarsi uno spazio importante al fianco di Draghi? Oppure farà tutto da solo?
«Farà molto da solo, ma non potrà fare tutto da solo. È vero che Draghi può contare su una maggioranza tale che potrà permettersi di perdere qualche pezzo per strada, ma è pur vero che il clima, nel medio-lungo periodo, tenderà a surriscaldarsi. Soprattutto quando le elezioni amministrative porteranno le forze della maggioranza a differenziarsi e combattere tra loro, o quando, durante il “semestre bianco”, non si pagherà più lo scotto delle posizioni che si prendono. Quando, insomma, non si rischierà di veder sciogliere le Camere».
Incombono nuovi “lockdown”: ma i virologi, dopo il picco di popolarità per le apparizioni tv, hanno perso credibilità?
«Non credo. La scienza è fatta di posizioni differenti. La conoscenza avanza per tentativi ed errori, è normale che gli scienziati la pensino diversamente. Le varie ipotesi espresse si devono poi scontrare con gli esperimenti, con l’analisi dei fatti, e restano in piedi solo le teorie più valide. Per gli scienziati è normale muoversi nel mondo delle idee differenti. Siamo noi giornalisti e noi cittadini che abbiamo difficoltà ad abituarci all’idea».
Che ruolo hanno avuto la televisione e l’informazione in generale in questo periodo di emergenza sanitaria? Come potrebbe cambiare da qui in avanti il racconto giornalistico?
«È stata fondamentale, come sempre è stato e sempre sarà. Ma non segue mode. Il lavoro del giornalista non cambia. Alla fine, il compito del giornalista è sempre lo stesso. Si osservano i fatti e li si narra. La differenza è fatta dalle persone che narrano, dalla loro cultura, dal loro approccio alla verità. Lo dico sempre: il giornalista può essere fazioso, il giornalismo non lo è. È una professione, ha le sue regole, la sua deontologia. Poi ognuno risponde della sua storia e della propria credibilità».
Ha scritto un libro,“L’alleanza”, sul rapporto tra genitori e figli: quanto peserà sui ragazzi il dopo Covid?
«Inciderà molto, spero che peserà poco. Di certo hanno perso tanto in termini di studio, di socialità, di abitudini di vita. Spero duri poco e spero che riusciranno a fare di questa esperienza un tesoro positivo. Spero ne approfittino per approfondire, per razionalizzare, per riflettere. In fondo il mondo e la vita che viviamo è sempre quella che ci è data dalle condizioni, dal contesto, dalla storia. Sta a noi trasformarla in qualcosa di positivo. Sicuramente l’esperienza Covid sarà il tratto di questa generazione».
In definitiva, come si può uscire da questa crisi? Su quali settori l’Italia dovrà puntare?
«Non ragionerei in termini di settori, ma di sistema. Dobbiamo riuscire a riorganizzare il Paese, spostando il peso sui più giovani, sul futuro, sulle energie finora represse. Penso alla rimozione degli ostacoli al lavoro femminile, a rinnovare un “welfare” spostato tutto sugli anziani, penso alla tutela e all’implementazione delle forme di lavoro più nuove. Il Covid è un virus opportunista, che fiacca l’organismo più debole e l’Italia è indebolita da tanti anni di indifferenza. Abbiamo lasciato che il nostro mercato del lavoro escludesse, che i nostri redditi scendessero, che il lavoro scomparisse, che gli evasori fiscali rubassero la nostra ricchezza. La tragedia ha avuto, forse, l’unico merito di aiutarci a rendercene conto. Lo hanno detto in tanti: le crisi fanno male, ma fanno più male se vanno sprecate. Non sprechiamo il dramma che ha colpito il mondo: ripartire sarà un’occasione per rimettere a posto le cose, curando non solo la malattia che ci ha preso di sorpresa, ma anche quelle cui ormai sembriamo esserci abituati».