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Emiliano Manfredonia: «Il momento esige attenzione. Per questo le nostre porte devono restare aperte»

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Emiliano Manfredonia, nei primi giorni di presidenza nazionale delle Acli, ha voluto calarsi in un territorio un po’ periferico come quello cuneese: qual è il motivo di questa scelta?
«Sono contento di essere a Cuneo per la mia prima uscita come presidente, perché ritengo importante essere sul territorio e incontrare i circoli in un momento in cui soffrono a causa della chiusura per la pandemia. Quello organizzato a Cuneo per il 27 e 28 febbraio è un momento non tanto di protesta quanto di richiesta di attenzione da parte dei circoli, che chiedono solo di poter stare nella comunità e questo lo ritengo importante e condivisibile».

Che cosa rappresentano per lei i circoli?

«La mia esperienza di aclista l’ho fatta nei circoli e anche per questo sono per me “i luoghi della realtà”, in cui oltre a svolgere delle attività e a prestare servizi, si incontra tanta gente che ha bisogno: nei circoli si vede la vita vera e noi dobbiamo saperla interpretare, non solo rispondendo alle necessità, ma anche dando voce alle persone. Dobbiamo stare nella realtà, nei nostri luoghi e poterli riaprire».

Tra gli impegni che si è assunto c’è quello del servizio, per far crescere le comunità.
«Credo che cercare di fare bene, di servire, sia nel Dna delle Acli, a tanti livelli, e questo ci chiama a una responsabilità che dobbiamo esercitare soprattutto in questo tempo di difficoltà a livello sociale, nel mondo del lavoro, tra i giovani. Dobbiamo mettere a frutto tutta la nostra esperienza, la nostra capacità, fare tesoro dei nostri volontari non tanto per occupare spazi, ma per avviare dei processi, mettendoci a disposizione».

I tempi sono complessi…
«In un momento come quello attuale, in cui il lavoro è fragile, precario, i giovani non lo trovano e già si prefigura lo sblocco dei licenziamenti che rappresenterà una vera e propria “bomba sociale”, come cristiani ci dobbiamo impegnare per la democrazia, che è in pericolo. Per questo dobbiamo investire sulla politica (definita da Paolo VI come la più grande forma di carità), non tanto nel senso di “partito” ma puntando sull’educazione e la formazione dei nostri giovani, affinché si preparino a fare “buona politica” che vuol dire occuparsi del bene comune, ciascuno nel proprio contesto».

Come cristiani, qual è l’impegno degli aclisti?
«Siamo persone con tanti difetti, che però cercano di mettersi insieme per fare un’esperienza di vita cristiana che sia una riconversione, non solo individuale ma comunitaria».

Quale futuro per le Acli?

«I circoli tradizionali vanno preservati, ma le Acli territoriali devono anche cercare nuove forme, magari più legate a delle iniziative specifiche, al volontariato o a realtà che interessino la comunità. I luoghi delle Acli danno l’opportunità alle persone di incontrarsi e di crescere e per questo le porte devono restare aperte».