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Federico Faloppa “indaga” la storia delle parole

Il 12 marzo incontro online con la Fondazione Mirafiore sul confine giuridico tra “diritto alla libertà d’espressione” e il rispetto dell’altro

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Torna, venerdì 12 marzo il nuovo ap­puntamento online della Fondazione Mirafiore. L’evento è di grande interesse e sarà introdotto da Paola Farinetti sul modello di quelle organizzate in passato nel teatro interno. Nel caso specifico si tratterà di una vera e propria “lectio magistralis” di Federico Faloppa, linguista di fama, Associate Professor of Italian Studies and Linguistics nel Department of Cultures and Languages dell’Università di Reading, in Gran Bretagna e autore del volume pubblicato recentemente da Utet “#Odio– Manuale di Resistenza alla violenza delle parole”.
Faloppa, a dispetto dei suoi titoli accademici che non devono certo intimorire, è un grande ed affascinante comunicatore e l’argomento che tratterà è assolutamente di grande attualità: le parole d’odio enfatizzate dalla rete e dai social, un fenomeno del tutto bipartisan. Chi a tal proposito non ricorda gli insulti pesantissimi inviati a Laura Boldrini al tempo della sua Presidenza alla Camera dei Deputati, ma è certamente più recente l’episodio della violenza verbale indirizzata a Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. Se la definizione “Hate Speech” è attualissima, attestata in America negli anni ’80 del ‘900 e in Italia a partire dal 2007, molto articolata e complessa, invece, è la storia delle parole di odio e discriminazioni nei confronti di alcune categorie umane e Faloppa la indaga con attenzione, mettendo insieme riferimenti alti e riferimenti quotidiani, associate all’analisi di quel sottile confine giuridico tra “diritto alla libertà d’espressione”, caposaldo delle democrazie avanzate, e il rispetto dell’altro.
Naturalmente, come buona abitudine della Fondazione Mi­rafiore, sarà sempre possibile intervenire ponendo domande, così come utilizzando lo strumento dei commenti.
Nel corso del dibattito, Faloppa analizzerà anche la storia contenuta nella sua ultima fatica letteraria. Quando il 10 maggio del 2020 la notizia della liberazione di Silvia Romano si diffonde nei social, la giovane rapita in Kenya diviene in pochi istanti il bersaglio di attacchi di ogni genere, tra auguri di morte, rabbiose accuse contro il mondo del volontariato, generici insulti sessisti. È bastato questo episodio per ricordarci la portata e la violenza di un fenomeno che la retorica dell’“Andrà tutto bene” sembrava aver ridimensionato. Ma che invece è più esplosivo che mai.
Il discorso d’odio, o hate speech, non è di certo una novità, ma nell’epoca 2.0 ha trovato il modo di dilagare ovunque, inquinando e polarizzando ogni canale del dibattito pubblico: dai social ai media tradizionali, fino ai discorsi quotidiani al bar, è stato sdoganato, e in alcuni casi istituzionalizzato, un linguaggio via via più violento e pervasivo, ma allo stesso tempo sfuggente e polimorfico. Come avverte il linguista Federico Faloppa, infatti, le parole che feriscono non sono solo gli incitamenti all’odio urlati in maiuscolo dai leoni da tastiera o le invettive dei corsivisti più spregiudicati. Da sempre il discorso d’odio agisce anche in modo subdolo, politicamente trasversale e in forme meno esplicite: con metafore, reticenze e false ironie si esprime spesso al riparo da accuse e provvedimenti giudiziari, disseminando parole offensive, narrazioni stereotipate, stratagemmi retorici capaci di fomentare, in sordina, vecchi e nuovi hater. #Odio è un atipico manuale di resistenza che non si limita a setacciare la cronaca dei nostri giorni ma che del discorso d’odio ricostruisce una genealogia storico-giuridica, indica le spie linguistiche, fornisce strumenti di contrasto. Perché solo riflettendo sui limiti della nostra idea di hate speech e sui suoi complessi meccanismi possiamo provare a fermare la marea montante dei discorsi e dei fenomeni d’odio. E ritrovare il senso, inclusivo, della nostra società.

BaNNER
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