Nemmeno la pandemia sembra in grado di scoraggiare gli amanti di padel. Anzi, cresce in maniera esponenziale il numero di coloro i quali si avvicinano a una pratica sportiva che sta conquistando fasce sempre più ampie di popolazione. Il motivo del successo di questo sport nato negli anni ‘70 in America Centrale e diffuso in particolar modo in Argentina e Spagna (nazioni che hanno i giocatori più forti al mondo) è presto detto: permette di divertirsi fin dalla prima volta che si prende la racchetta (che in gergo si chiama “pala”) in mano.
Un po’ tennis, un po’ racchettoni da spiaggia, un po’ squash, il padel non ha una sua identità solo agli occhi di chi si limita a osservarlo da fuori, senza entrare nella “gabbia”.
L’ascesa di questo sport è confermata anche dal fatto che per la prima volta il Comitato regionale della Fit (Federazione Italiana Tennis) ha eletto un consigliere con delega specifica al padel. Si tratta di Bruno Ubaudi, amministratore unico del Gonetta Go Sport club di Ciriè.
«La Fit ha voluto introdurre questa figura perché il movimento padel è in forte espansione e si è ritenuto necessario inserire una persona che mettesse ordine e cercasse di coordinare le attività», spiega Bruno Ubaudi.
Consigliere, proviamo a far capire ai nostri lettori il rapporto che c’è tra padel e tennis. Per alcuni il tennis è una sorta di fratello maggiore, per altri il padel è una serpe in seno…
«A mio avviso c’è un cordone ombelicale che lega tennis e padel. Il padel è nato su impulso di ex tennisti che hanno iniziato a divertirsi giocando a questo sport, poi sono stati coinvolti amatori provenienti da altre pratiche. In particolare sono sati attratti dal padel le donne e la fascia 20-45 anni. In questo senso, il padel più che sottrarre al tennis, riempie un vuoto che esso aveva lasciato, visto che il fratello maggiore va molto forte tra i giovanissimi e gli over, ma meno nella fascia di età intermedia».
A livello di impianti, la sensazione è che si tolgano campi da tennis per farne da padel…
«All’inizio molti circoli hanno risposto alla crescita del padel trasformando campi da tennis in campi da padel. Ora è arrivato il momento per partire direttamente con il padel».
Cosa intende?
«Siamo nella fase in cui la domanda è molto più forte dell’offerta e quindi l’offerta si deve adeguare e c’è spazio per tutti. In un secondo momento, quello contraddistinto da maggiore maturità, la qualità dell’offerta farà selezione: la confortevolezza, i costi e cose del genere».
Non c’è il rischio che il padel sia una moda?
«Sono abbastanza avanti con gli anni da ricordare l’ avvento del calcio a 5 nei circoli di tennis. Finita l’era di Barazzutti i club trasformavano i campi da tennis in campi da calcetto. Una decina di anni fa il fenomeno si è sgonfiato, ma è comunque durato 30 anni, ma è stato un movimento importante».
Qualche tennista dice che il tennis è uno sport mentre il padel un gioco…
«Chi lo dice non ha capito bene come funziona il padel. In questo sport è molto facile acquisire un livello basso: basta trovare distanza e velocità giuste per riuscire a palleggiare con un compagno e divertirsi. Il punto, però, è che la progressione successiva risulta molto più difficile. È facile arrivare a 10, ma la stessa fatica che si fa da 0 a 10 la devi fare per passare da 10 a 11».
A livello italiano manca un campione che possa appassionare le masse?
«Al momento il divario con i primi al mondo è incolmabile. Di contro, però, di buono c’è che anche i campioni sono abbastanza accessibili. Avere la possibilità di entrare in contatto con un top player, confrontarti con lui è più importante della sua nazionalità. Il problema, semmai, è che non abbiamo ancora giocatori giovani, quelli che chiamo “nativi del padel”. A me piacerebbe prendere un bambino di otto anni, allenarlo per 4-5 anni come si deve e fare in modo che a 14 sia competitivo. Si può fare. Basta che le famiglie capiscano che il padel ha la stessa dignità del tennis».
Anche il costo depone a favore del padel…
«Intanto giocare a padel ha un costo che si divide per quattro. Una pala ha un costo che varia tra i 50 e i 300 euro e rispetto al tennis non prevede i costi del cambio delle corde. E, salvo imprevisti, una pala di un giocatore abbastanza assiduo dura almeno un anno di attività agonistica».
Che momento è per il padel regionale?
«Siamo abbastanza avanti, ma ad anni luce di distanza dai primi: il Lazio è irraggiungibile. Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia sono paragonabili come movimento e poi ci sono zone che si distinguono, a macchia di leopardo».
A livello di giocatori, invece, il piemontese più alto in classifica è Marco Cassetta.
«Marco Cassetta è stato un anticipatore, in un certo senso. Era un tennista con una certa vocazione a scendere a rete. Rappresentava un po’ un anomalia nel tennis che non era premiante più di tanto. Si è convertito al padel, ha il fisico adatto e una grande reattività».