È partita nei giorni scorsi la sperimentazione del vaccino anti Covid tutto italiano, ideato dalla Takis di Castel Romano e sviluppato in collaborazione con la Rottapharm Biotech di Monza. Proprio nella città lombarda, presso l’Ospedale San Gerardo, è stato vaccinato il primo volontario. IDEA ha approfondito il tema, intervistando Luigi Aurisicchio, Ceo di Takis.
Aurisicchio, siete stati tra i primi a comprendere la pericolosità e le necessità legate al coronavirus. Com’è nata questa intuizione?
«Quando, dodici mesi fa, è stata resa disponibile la sequenza genetica del nuovo coronavirus, la decisione di scendere in campo è stata spontanea e naturale, ma anche doverosa. Avevamo infatti a disposizione anni di esperienza e una tecnologia, quella dei vaccini genetici, che ci potevano permettere di rispondere velocemente a un’epidemia che, allora già lo intuivamo, avrebbe potuto diffondersi a livello mondiale, come poi di fatto è successo».
La vostra è una realtà piccola. Come vi siete organizzati?
«Siamo effettivamente una piccola azienda e non avremmo mai potuto permetterci, soprattutto all’inizio, di sospendere le altre nostre attività di ricerca che tuttora svolgiamo sia in proprio che per conto terzi (se ne parla nel box a lato, ndr). Tutti i nostri ricercatori hanno quindi continuato a svolgere le loro normali attività lavorative, ma in parallelo hanno partecipato al progetto Covid con grande entusiasmo, contribuendo in modi e fasi diverse allo sviluppo del vaccino. È stato un bellissimo lavoro di squadra».
A proposito di vaccino, quanto tempo avete impiegato per svilupparlo?
«Abbiamo iniziato a lavorare al vaccino il 29 gennaio 2020. Dopo un anno abbiamo ottenuto l’autorizzazione alla sperimentazione clinica. La realizzazione del vaccino in sé ha richiesto poche settimane: i tempi per lo sviluppo di un vaccino genetico, infatti, sono molto veloci. Gli esperimenti di fase preclinica e il dialogo con le agenzie regolatorie hanno richiesto invece diversi mesi. Non è stato un percorso facile».
Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato?
«L’ostacolo maggiore, all’inizio, è stata la mancanza di finanziamenti. Ci siamo autofinanziati, nelle prime fasi, lanciando una raccolta di “crowdfunding” sui nostri canali “social”, con cui abbiamo raccolto poco più di 50mila euro: appena sufficienti per iniziare, ma troppo pochi per portare il nostro vaccino fino alla clinica. Poi, per fortuna, abbiamo ricevuto donazioni da alcuni enti e associazioni e abbiamo stretto una collaborazione con l’azienda Rottapharm Biotech di Monza che ha finanziato il nostro progetto e ha messo in campo la sua esperienza negli affari regolatori, permettendoci di raggiungere questo importante traguardo».
Come “funziona” il vaccino che avete ideato?
«Il nostro vaccino è composto solo da un frammento di Dna che contiene le istruzioni per sintetizzare una porzione della proteina “Spike” del coronavirus, quella che interagisce con il recettore delle cellule umane. Con il nostro vaccino le cellule imparano a sintetizzare questa piccola porzione della proteina “Spike” (non il virus intero): il sistema immunitario riconosce e memorizza questo frammento del virus, producendo anticorpi in grado di neutralizzare l’infezione e impedendo l’ingresso di Sars-Cov-2 nelle cellule umane».
È un sistema differente da quello che caratterizza i vaccini già approvati?
«È sempre un vaccino genetico, ma è diverso rispetto agli altri vaccini che sono invece a base di Rna messaggero o di vettori virali. La molecola di Dna, rispetto all’Rna, è più stabile: può essere conservata in frigo o liofilizzata a temperatura ambiente e trasportata senza il bisogno di mantenere la catena del freddo. Quest’aspetto potrebbe favorire la sua diffusione nei Paesi in via di sviluppo. La molecola di Dna, tuttavia, è più ingombrante e per entrare nelle cellule ha bisogno di un breve impulso elettrico della durata di 35 millisecondi subito dopo l’iniezione. La procedura, detta elettroporazione (che viene eseguita contestualmente all’inoculazione del vaccino tramite una sorta di pistola, mostrata da Aurisicchio nell’immagine a sinistra, ndr), non è dolorosa per il paziente, che avverte solo una lieve pressione sul braccio e una contrazione involontaria del muscolo».
Quali benefici garantisce il vostro vaccino?
«Gli anticorpi prodotti dal nostro vaccino sono in grado di neutralizzare il virus, ossia di impedire l’infezione di cellule umane in vitro. In un “modello murino” (organismo animale utilizzato come “modello” per valutare l’efficacia del vaccino, ndr) abbiamo osservato protezione dall’infezione del virus e soprattutto assenza di sintomi clinici tipici del Covid-19».
Oltre al segmento di Dna, quali altri elementi compongono il vaccino?
«Il nostro vaccino non ha bisogno di adiuvanti e non impiega virus inattivati».
Per chi è indicato?
«Si rivolge a tutti i pazienti».
Gli effetti collaterali?
«Nei test preclinici non abbiamo riscontrato alcun effetto collaterale rilevante. Ci aspettiamo, quindi, effetti collaterali di lieve entità, simili a quelli comuni di altri vaccini, poiché, come dicevo prima, il nostro non contiene il virus inattivato né eccipienti. Il primo volontario ha riferito solo indolenzimento al braccio e un piccolo livido al sito di iniezione».
Per quanto tempo sopravvive l’anticorpo originato dal vostro vaccino?
«Nei test preclinici il nostro vaccino ha indotto nei modelli animali una buona produzione di anticorpi contro la proteina “Spike”; anticorpi che rimangono in circolo a livelli elevati fino a 6-7 mesi dopo la vaccinazione, anche in assenza di richiamo. La sperimentazione clinica potrebbe confermare questo dato anche relativamente agli esseri umani».
Il vaccino è adattabile alle diverse varianti in circolazione?
«Sintetizzare una molecola di Dna con una sequenza precisa e “su misura” è una procedura molto rapida e poco costosa. Questo significa che, in ogni momento ed entro poche settimane, il nostro vaccino può essere “aggiornato” introducendo nella sequenza le mutazioni che il virus continua ad accumulare generando nuove varianti».
Quali passaggi devono ora essere compiuti e con quali tempistiche immaginate possa essere immesso sul mercato?
«Al momento è iniziata la Fase I, che prevede l’arruolamento di 80 pazienti su cui verrà testata la sicurezza e tollerabilità del vaccino, stabilita la dose ottimale e se è sufficiente una sola somministrazione oppure occorre un richiamo. Seguirà una Fase II in cui il numero di pazienti verrà ampliato a 240 e verrà testata l’efficacia del vaccino nel prevenire l’infezione a confronto con un placebo. Se tutto questo dovesse filare liscio, passeremmo alla Fase III nel prossimo autunno, su un numero ancora maggiore di persone. L’autorizzazione al commercio arriverebbe nel 2022. Per la sperimentazione clinica collaboriamo con tre centri ospedalieri: il San Gerardo di Monza, l’Istituto Pascale di Napoli con il professor Antonio Ascierto e lo Spallanzani di Roma».
In caso di autorizzazione, chi sarà a produrlo?
«Per l’industrializzazione del vaccino abbiamo creato un consorzio, anch’esso tutto italiano, che comprende Takis, Rottapharm Biotech, Igea (l’azienda che produce il sistema di elettroporazione) e Acs Dobfar».
Quante dosi sarete in grado di produrre?
«A partire dall’anno prossimo, in una fase iniziale, tra le 20 e le 40 milioni».
Chiudiamo con una considerazione personale. Che emozione ha provato con la prima inoculazione? Sente l’orgoglio di una “scoperta” tutta italiana?
«È stata un’emozione unica. Un anno fa era un’idea, ma grazie al contributo dei nostri ricercatori e di tutti quelli che hanno collaborato quell’idea è diventata realtà: il nostro vaccino è stato inoculato nei pazienti. È una grandissima soddisfazione per noi che abbiamo orgogliosamente scelto di rimanere in Italia per fare ricerca e creare innovazione nel nostro splendido Paese».