«Con i miei dolci regalo attimi di gioia»

La storia del pasticciere francese di fama mondiale Luc Debove parte da Niella Tanaro

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Quella di Luc De­bo­ve è una storia di intraprendenza cuneese. Lui è na­to in Fran­cia ma ha nel­l’animo resilienza e capacità di sorprendere tipiche di chi arriva dalla Granda. Colpito dal co­raggio del nonno, divenuto pa­nettiere do­po essere emigrato oltralpe da Niella Tanaro, ha intrapreso la carriera di pasticciere partendo dal basso, fino ad arrivare a essere campione mon­diale.

Luc Debove, ma la “e” finale del cognome si pronuncia, all’italiana, oppure, no, alla francese?
«Quando sono in Francia no, quando sono a Niella ovviamente sì! (ride, nda)».

Che legame ha con Niella?
«Mio bisnonno, Carlo, era di Niella Tanaro. Quando si diffuse la “malattia del grano”, incontrò grosse difficoltà economiche. La sua famiglia faceva letteralmente la fame. Così, con il suo fagotto, si trasferì a Nizza in cerca di lavoro».

Lo trovò?
«Sì, come operaio. Qualche tem­­­po dopo, imparò a fare il pa­ne e riuscì addirittura ad aprire una bottega tutta sua. A quel punto fece trasferire la famiglia e anche qualche altro niellese che cercava fortuna».

E la casa a Niella?
«La mia famiglia decise di tenerla ed è stata una fortuna! Non c’è stata estate che io non mi sia recato in quello splendido luo­go. Lo faccio ancora ora, con mio figlio, per riassaporare il profumo del paese, per riabbracciare la gen­te, per sentire vive le mie radici piemontesi. Amo an­che le Langhe e Viola, dove ho comprato un bosco».

È cresciuto con le “mani in pasta”?
«Mi piaceva stare in panetteria dai nonni, a Nizza, ma più ancora mi divertivo in estate, al forno comunale di Niella, dove io e gli altri ragazzini facevamo impazzire il panettiere del po­sto, “rubandogli” pizza e grissini appena sfornati…».

Insomma, la scelta di lavorare nel settore era quasi scontata…
«Non proprio, perché i miei genitori non avevano intrapreso quella strada e, anzi, avevano venduto il negozio di famiglia. Io, però, ero rimasto colpito da mio bisnonno».

Pasticceria e non panetteria. Perché?
«Avevo toccato con mano quanto fosse faticoso fare il pa­ne… E così optai per la pasticceria, anche perché era una professione che mi avrebbe te­nuto lontano dal computer e dall’inglese che proprio non mi piacevano».

È stata la scelta giusta?

«Insomma… Anche la mia attività è impegnativa. Lo è stata fin dall’inizio, quando lavoravo da “apprendista”. E poi ora devo sia utilizzare il computer sia par­lare in inglese. Mi ci sto abituando!».

Quando si è accorto di riuscire a fare i dolci meglio degli altri?
«Non ho mai avuto l’ambizione di essere migliore degli altri. Per poter ottenere le licenze e le qualifiche necessarie, però, avevo necessità di affinare la mia tecnica e così inizia a partecipare a concorsi. Lavorazione di zucchero, ghiaccio, gelati o cioccolata… Gara dopo gara, sono arrivate le vittorie».

I successi l’hanno cambiata?
«Ho potuto proseguire la mia formazione e, in seguito, collaborare con alberghi e strutture di alto livello, come il casinò, insegnare, tenere corsi di formazione e avviare l’attività di con­sulente. Sono quasi sempre in viaggio…».

È felice del suo percorso?

«Sono contento, con le mie creazioni, di regalare gioia alle persone. Perché i dolci, a qualsiasi età, rievocano momenti belli: feste di compleanno, ma­trimoni, ricorrenze… E, in questo momento difficile, un cucchiaio di dolcezza non guasta!».

Anche il pane, comunque, veicola messaggi positivi…
«Se i dolci sono sinonimo di felicità, il pane rappresenta la vi­ta. In futuro, mi dedicherò a que­sta specialità».

Lo farà insieme a suo figlio?
«“Ho proprio paura”, come dite voi in piemontese, che sia appassionato di cucina! Certa­mente, vederlo pasticciere o panettiere mi farebbe piacere, ma non voglio condizionarlo. Sarò al suo fianco in ogni caso. Di sicuro, continuerò a portarlo a Niella! (ride, nda)».