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«Fondamentale l’esperienza fatta all’estero»

Ora la scienziata cuneese Chiara Ambrogio opera nel suo laboratorio fondato a Torino

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Concorso dopo concorso, da una borsa di studio all’altra, la cuneese Chiara Ambrogio ne ha fatta di strada da quando frequentava il Liceo scientifico “Giu­seppe Peano” di Cuneo. Dopo la laurea in Biotecnologie Mediche nel 2004, ha conseguito quattro anni dopo il dottorato in Immunologia e Biologia Cellu­lare, sempre presso l’U­niversità degli studi di Torino. Il primo concorso che vince (2009), per il postdoc, la porta niente meno che al Centro Nacional de Investiga­ciones Oncológicas (Cnio) di Madrid, numero uno della penisola iberica per la ricerca oncologica, dove si fermerà fino all’inizio del 2016. Dopodiché le viene offerta una posizione di lavoro al Dana-Farber Cancer Institute (Dfci) di Boston presso la Harvard Medical School. Nel 2019 vince il “Career Deve­lopment Award” (Cda) della Fondazione Armenise Harvard, che ogni anno premia uno o più giovani scienziati promettenti, per contribuire alla creazione di nuove aree di ricerca in Italia e rafforzare la collaborazione tra gli scienziati nel nostro Paese e la Harvard Medical School di Boston, dove la Fondazione ha sede. La dottoressa Ambrogio ha quindi fondato il suo laboratorio presso il Centro Inter­dipartimentale di Ricerca per le Biotecnologie Molecolari Mbc Unito (Molecular Biotechno­logy Center) dell’Università di Torino. Oltre al finanziamento di 1 milione di dollari (200.000 dollari all’anno, per un lustro) della Fondazione Ar­me­nise, lo scorso 9 dicembre, Chiara si è aggiudicata il “Con­solidator Grant” rilasciato dal­l’European Research Coun­cil (Erc), organismo del­l’Unione Europea che attraverso finanziamenti competitivi sostiene l’eccellenza scientifica. Quest’ul­timo riconoscimento, ottenuto con la presentazione del progetto dal titolo “Karma-Dalla comprensione delle dinamiche della membrana Kras-Raf alle nuove strategie terapeutiche nel cancro”, consiste in un finanziamento del valore di 2 milioni di euro. Il “grant” in questione è riservato ai ricercatori che vantano tra i 7 e i 12 anni di esperienza dal completamento del dottorato di ricerca e un ricco curriculum scientifico, tutte qualità che la dottoressa Ambrogio ampiamente possiede. Nonostante i successi e una carriera in costante ascesa, Chiara torna spesso nella sua Cuneo a trovare la famiglia e gli amici, con i quali ha sempre mantenuto un forte legame.

Dottoressa Ambrogio, cos’ha de­terminato la carriera all’estero?

« Nel mio caso è stato tutto legato a concorsi e bandi applicati e vinti. In Spagna, oltre al primo bando che mi ha permesso di fare il postdoc all’estero, ho conseguito un’altra borsa di studio finanziata dall’Aecc- Asociacion Española Contra el Cancer, l’organo spagnolo ge­mellato con l’Airc italiano, grazie alla quale ho potuto proseguire i miei studi e le mie ricerche al Cnio di Madrid. Allo stesso modo è avvenuto anche il mio ritorno in Italia. La possibilità di aprire un mio laboratorio a Torino è legata all’assegnazione del “Career Development Award” della Fondazione Ar­me­nise Harvard».

Quando è nato il suo interesse?
«Al liceo, sebbene non avessi ancora le idee così ben delineate, avevo sicuramente chiaro in testa che avrei voluto fare qualcosa in ambito scientifico. Quando ho scelto Biotecno­logie era una facoltà molto “giovane” e sperimentale. Al mio test di ammissione i posti a disposizione erano appena 20, mentre per l’anno accademico 2020/2021 sono stati 187. Dedicarmi alla ricerca in campo oncologico è stata pura curiosità e interesse scientifico».

Se iniziasse oggi la carriera universitaria?
«Se fossi uno studente con le possibilità di adesso, proverei già a fare il Dottorato in un ambito internazionale. Non ne­cessariamente si deve prendere e andare all’estero per tutto il percorso, ad oggi ci sono bellissimi programmi in co-tutela dell’Unione europea che danno la possibilità di fare dei periodi di studio alterni tra laboratori dei vari stati europei».

Cos’ha dato una svolta e/o una marcia in più alla tua carriera?
«Sicuramente il mio periodo in Spagna. Quando sono arrivata a Madrid, sono andata a lavorare nel laboratorio del professor Mariano Barbacid, uno dei pionieri del mio ambito di ricerca. Per cui a posteriori posso asserire che questo mi ha dato un “pedigree”, un marchio di eccellenza che poi è stato decisamente riconosciuto in tutto ciò che ho fatto successivamente. Non ne ero così cosciente quando ho intrapreso questo percorso, perché ero molto giovane ed entusiasta, con gli occhi e la coscienza di oggi posso dire che è stata una scelta decisamente azzeccata».

BaNNER
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