Sabato 13 marzo è mancato, stroncato dal Covid-19, il grande fotografo Giovanni Gastel. Una notizia che non ha lasciato indifferente il mondo della fotografia italiana. Molti di noi, anche se non lo conoscevano personalmente, lo seguivano tramite i social e apprezzavano le sue immagini e le sue poesie (sì, perché era anche un poeta raffinato e colto).
Io ho avuto la fortuna di fare un “workshop” con lui a dicembre, purtroppo in “streaming”, ma ciò era bastato a capire quale grande genio avevo davanti.
Fotografo poliedrico, ha attraversato 40 anni della storia della fotografia commerciale, moderna e contemporanea, con i suoi famosi ritratti era in mostra al Maxxi con “The people I like” fino al 5 marzo, 200 ritratti pubblicati anche nel libro omonimo.
«Il ritratto, per me, è sempre un atto di seduzione, bisogna entrare in simpatia e empatia con il soggetto, per ottenere 1/125 di seduzione reciproca, in questo momento di seduzione reciproca la mia macchina riesce a entrare oltre alla posa, oltre a quello che il soggetto vuole farmi vedere di sé e io riesco ad entrare e a vedere qualcosa che gli altri non vedono e fare un ritratto più intimo in cui ci sono io e c’è la persona fotografata. Perché le due componenti del ritratto sono colui che viene immortalato ma anche il fotografo, tutti e due devono essere presenti nel ritratto finale. Questo parte dal concetto che io non sono uno specchio, io sono un filtro, quindi la persona che è davanti alla macchina deve entrare dentro di me, essere filtrata dalle mie gioie, i miei dolori, la mia cultura e quando esce è un’interpretazione di lui: è il mio punto di vista su di lui. Quindi non pretendo di avere nessuna verità però è naturalmente una interpretazione forte, dato che, gli esseri umani, tutti noi, abbiamo questa strana condizione per cui possiamo vedere attraverso gli occhi l’universo intero ma non possiamo vedere noi stessi, spesso un ritratto di autore ti rivela anche a te stesso».
Con queste parole il maestro Giovanni Gastel accoglieva i suoi allievi e svelava la forza dei suoi ritratti e la straordinaria capacità di entrare in empatia con i soggetti per creare le sue opere stupende. Ne cito uno per tutti: la magnifica foto a Barack Obama che ride rovesciando la testa all’indietro, dopo che lui stesso gli aveva chiesto: «ma come mai gli Stati Uniti hanno eletto questo presidente dopo di lei?».
Ironico, raffinato, colto ed elegante, era il settimo figlio di una famiglia il cui padre era un industriale e la madre apparteneva all’alta aristocrazia, una Visconti di Modrone, sorella di Luchino Visconti. Formato dalla madre alla storia delle arti figurative, ebbe la fortuna straordinaria di incominciare a vedere la fotografia di moda, fin da ragazzo, attraverso le riviste che sua madre riceveva dall’America, con le immagini di Irving Penn e Richard Avedon.
Amava raccontare che suo padre, quando seppe che voleva fare il fotografo, gli regalò un pettine e uno specchio, come strumenti benauguranti per il suo prossimo lavoro pensando che gli sarebbero serviti per le persone che volevano la fototessera. Arrivato al successo a soli 26 anni lavorò per tutte le grandi riviste della moda, prima con i suoi famosi “still life” e le modelle, poi concentrandosi soprattutto sui ritratti dei personaggi famosi. Anni dopo il padre diceva ironicamente ai suoi fratelli: «Avete fatto tutti l’Università, ma l’unico che guadagna un sacco di soldi è Giovanni!».
Articolo a cura di Grazia Bertano (presidente di CuneoFotografia)