La distanza a volte consente di capire che cosa vale la pena tenere e cosa lasciar andare. Lo sa bene Alessio Garofalo, leva 1985, un fossanese che ha già alle spalle un articolato percorso fatto di scelte importanti e di porte da chiudere dietro di sé, per aprirne di nuove e costruirsi un futuro sempre più stimolante.
Alessio, come è cresciuto e dove ha passato la sua adolescenza?
«Sono nato a Savigliano 35 anni fa da mamma Adriana, insegnante di musica alle scuole medie, e papà Rossano, ispettore della polizia penitenziaria. Ho un fratello quattro anni più giovane, Samuele. Sono cresciuto in quel di Fossano dove sono rimasto fino alla fine delle scuole superiori».
Che tipo di adolescente era?
«Sono sempre stato abbastanza indipendente ma introverso, non uno di quelli al centro della scena, però ho sempre cercato di posizionarmi come una voce fuori dal coro e ho sempre avuto un po’ di problemi a rispettare l’autorità, forse proprio perché mio papà era una figura molto autoritaria. Ho sempre avuto una mia idea sul come fare le cose, mia mamma mi diceva che sin da bambino mi piaceva dare ordini qua e là. Ero bravo a scuola, ma non il primo della classe, preferivo i videogiochi ai libri, ma riuscivo sempre a cavarmela bene e non ho mai dato troppi pensieri a casa».
Quando ha deciso che la sua strada sarebbe stata il mondo?
«Durante l’ultimo anno delle scuole superiori mi resi conto che le finanze della mia famiglia non mi avrebbero permesso di andare all’università. Fu in quel momento che rivolsi il mio sguardo all’Accademia Militare perché mi offriva la possibilità di laurearmi e lavorare al tempo stesso. Inoltre, essendo mio padre un uomo in divisa, ne sono sempre stato affascinato. Mi preparai tantissimo per entrare, ricordo che eravamo 25mila a fare la selezione. Entrai come secondo».
Come è proseguita la sua carriera militare?
«Sono stato estremamente fortunato. Ho avuto modo di incontrare persone straordinarie, vedere luoghi incredibili, situazioni inenarrabili e di crescere e maturare sia come comandante di uomini che come specialista nel settore dell’IT, Telco e Cybersecurity. Ho ricoperto ruoli di rilievo per la Nazione, rappresentandola in contesti internazionali ad alta risonanza strategica che mi hanno garantito una buona dose di visibilità ed opportunità di crescita professionale. La cosa più importante che ho imparato nelle Forze Armate rimane sempre e comunque quanto sia vitale lavorare duro, sacrificarsi ed ascoltare le persone che lavorano con te. Solo così puoi diventare un buon leader».
Cosa l’ha spinta ad interrompere una carriera così brillante?
«Ad un certo punto ho sentito l’esigenza di virare il mio percorso e provare a testarmi in un ambiente che fosse diverso da quello militare. La motivazione è sempre stata quella di voler imparare di più, vedere cose nuove e magari un giorno avere una mia realtà imprenditoriale. Mi resi conto all’epoca che era difficile far trasparire al mondo del lavoro le mie qualità, per quel motivo ho deciso di investire quelli che in quel momento erano tutti i miei risparmi, in un “executive master” in “business administration” in una scuola prestigiosa. Lavoravo e facevo il master allo stesso momento. Tramite il Master, sono riuscito poi ad incontrare Amazon. Ho lanciato anche un paio di start-up, partecipato a percorsi di accelerazione, e fatto da consulente in diversi settori. Mi ricordo che a un certo punto sotto Natale stavo gestendo due business, due lavori di consulenza, Amazon e finendo il Master nello stesso momento. Dormivo 5 ore a notte, ma ne è valsa la pena».
E a quel punto ha deciso di cambiare di nuovo. Perché?
«Ho lasciato Amazon lo scorso anno per trasferirmi in Arabia Saudita come director of technology per Neom e Cio/Cto di Neom Industrial City. Sotto la mia responsabilità ci sono lo sviluppo e progettazione delle soluzioni tecnologiche che serviranno, la “supply chain”, logistica, porti internazionali, retail, manifattura, trasporti di merci, automazione, IT ed innovazione della città del futuro. Neom è la nuova città-stato che stiamo costruendo da zero nella parte nord-occidentale dell’Arabia Saudita. L’opportunità di entrare a far parte del più grande progetto del mondo e di dirigere, progettare ed inventare la tecnologia che servirà la città del futuro è un’opportunità che capita una volta nella vita, ho deciso di prenderla al volo».
Ha mai avuto paura dei chilometri che la separavano dalla sua famiglia?
«A volte ci penso, ma non mi ha mai intimorito più di tanto. Posso contare su una solida famiglia e parenti ed amici che si aiutano l’un l’altro in caso di emergenze. Ho imparato che indipendentemente da quanti chilometri sei distante, ormai rimanere connessi non è più difficile, bisogna solo tenerci».
Ha ricostruito una famiglia e una vita in Arabia Saudita?
«Non proprio, questa vita vagabonda e la carriera serrata ha richiesto compromessi non indifferenti. Nel mio caso una relazione a distanza ed il focus sulla professione piuttosto che sulla famiglia. Non che non ci tenga o non lo voglia, ma ho deciso di definire alcune priorità per potere godere al meglio di ciò che conta davvero, in un secondo momento».
Come ha vissuto il periodo di pandemia lontano da casa?
«È quasi un anno e mezzo che manco da casa ormai, anche se inizio a dubitare di dove casa sia. Moltissima nostalgia, mi mancano gli affetti e gli amici di sempre, però mi rendo conto che non potrà durare in eterno e appena riaprono i confini mi fiondo a casa ad abbracciare mio fratello e mangiare i ravioli della mamma».