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Sulle tracce del codice dantesco di Verzuolo

Lo studioso di storia locale Livio Berardo ripercorre la vicenda dei sette canti del Purgatorio su una pergamena del XIV secolo

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Vicino al profilo del Monviso, il Re di Pietra, ecco spuntare uno sguardo au­stero e un naso aquilino. Che il “sommo poeta” fosse un giramondo che ben sapeva come è duro scendere l’altrui scale, per le necessità dettate dall’esilio dalla crudele Fiorenza, è cosa universalmente nota, così co­me l’indole da viaggiatrice che quella Commedia ha avuto fin da subito, passata in fretta da una bisaccia di un mercante a una “schola” sulla frontiera dell’Impero. Certo, trovarne un pezzo qui, nelle ritrose lande cuneesi, lascia sorpresi: che ci fanno sette canti del Purgatorio su una pergamena del XIV secolo a Verzuolo? Il verzuolese Livio Berardo, professore di Lettere Classiche e studioso di storia locale, prova a raccontarci qualcosa in più su un documento che, in occasione dell’importante anniversario dantesco, merita di essere nuovamente riscoperto.

Professor Berardo, lo “bello stilo” di Dante qui? Che cos’è questo documento?
«Si tratta di circa sette canti del Purgatorio conservati su pergamena, in particolare dal XXIII al XXVI e dal XXX al XXX canto: siamo nel momento in cui il poeta si appresta a uscire dal Purgatorio e incontra la donna che ha ispirato tutta la sua opera, la sua Beatrice. Che naturalmente, per prima cosa, lo rimprovera per i suoi molti peccati».

E qual è la storia di questi fogli?
«Provengono sicuramente dal­l’Italia settentrionale, ma non sono di origine piemontese. In partenza probabilmente c’era l’opera integrale, poi smarrita col tempo. Con un colpo di teatro della storia, però, ci sono rimasti questi passi: pare infatti che, intorno al 1603, uno zelante messo del comune usò le pagine del Purgatorio per fasciare le delibere del municipio, come copertina, consegnandole in questo modo a un viaggio nel tempo fino a noi».

Sono mai state studiate a fondo?

«Sì, certo. Ricordo le opere di Ferdinando Gabotto, un insegnate di Bra amante delle questioni locali che, a quanto pare, ogni tanto amava anche portarsi via i documenti dagli archivi. Fu il primo nel 1898 a segnalare il testo. Può darsi, ma con la chiusura degli archivi degli ultimi mesi non ho ancora avuto modo di verificare, che anche il noto filologo Cesare Segre, nato proprio a Verzuolo, abbia dedicato delle righe alla questione».

Questo è il settecentenario della morte di Dante. Non sarebbe im­portante mettere in risalto questa tessera del grande mosaico dantesco nelle celebrazioni che ci saranno in tutto il Paese?
«Assolutamente, e credo che il comune di Verzuolo sia già attivo su questo fronte. Teniamo conto, per esempio, che pure Lagnasco, anche grazie ai vantaggi dati dallo stato ai comuni con meno di 5.000 abitanti, ha potuto ricevere aiuti per il suo Commento alla Divina Com­media del XV secolo dell’abate Stefano di Ricaldone, che fu poi stampato e donato successivamente al comune da Umberto I. È l’anno giusto per far emergere queste piccole pietre preziose sparse in tutta Italia»