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Chi è davvero Benno?

Luciferino o sfortunato, malato o maledetto, violento perché malvagio o perché folle, il killer che ha brutalmente ucciso i genitori a Bolzano ha negato tutto per giorni per poi crollare e confessare un duplice omicidio e un motivo banale: un rimprovero del padre

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Benno è un assassino spietato. Un figlio degenere. Un uomo crudele. Benno ha un cuore malvagio, o forse non ha cuore. Benno è un killer lucido, senza pietà né pentimento, capace di pianificare l’uccisione di papà e mamma, di buttarne i corpi in un fiume e seppellirli sotto cumuli di bugie, di fingere stupore e dolore quando la sparizione sembra mistero e la ricerca diventa ansia, di ingannare i media e i magistrati, i parenti e gli amici, di negare alla sorella una verità tragica che lei intuisce nell’anima e prova a respingere invano, sopraffatta da una voce dentro e da un’evidenza che inchioda ma lui spazza, ingannando anche due donne con un sorriso angelico sopra il ghigno maligno, la gentilezza di un carico di lavatrice o d’una mano a pulire casa tramutata in involontaria complicità. Benno che studia parole e i gesti, che cerca risposte come tutti custodendo in sé la più agghiacciante, che s’adombra e offende e ribella ai sospetti, che prova a ricostruire un vuoto che solo lui conosce: le ultime ore prima dell’oblio sono le prime di una tragedia sconfinata, non ci sono fughe né rapimenti né disgrazie, c’è un lago di sangue. E poi una lunga, meticolosa, fredda cancellazione di prove e di tracce, l’acqua ossigenata per lavare ogni goccia, per rendere inespugnabile il castello delle bugie. Salvo crollare, dopo giorni infiniti, e confessare un duplice omicidio e un motivo banale, un rimprovero e una corda che appare nel momento del furore, la stretta al collo di papà, poi di mamma che rientra da fuori.
Benno è un malato, un giovane perseguitato dai demoni che si chiamano disturbi psichici. Benno aveva avuto una crisi in Germania e papà era andato a riprenderlo per portarlo a casa e stargli accanto, la famiglia stava indirizzandolo a un percorso di cura. Si dice, nel dettaglio, soffrisse di una schizofrenia paranoide con disturbi di personalità in chiave aggressiva. Una violenta crisi psicotica l’aveva colpito a Ulm, imponendo il ricovero, poi il ritorno a Bolzano per iniziare la terapia. Chissà perché il tempo è passato. Ricerca d’aiuto, resistenze del ragazzo, papà e mamma decisi a proteggerlo, l’amore più forte della paura: «È dura», lo sfogo della madre cristallizzato nella lettera a un’amica, «abbiamo nascosto e messo via i coltelli ma in giro ci sono forbici… c’è di tutto».
Non sappiamo chi è davvero Benno. Lo diranno le perizie, lo stabiliranno le sentenze. Non sappiamo se è luciferino o sfortunato, malato o maledetto, violento perché malvagio o perché folle. Sappiamo però chi erano Laura e Peter, genitori schiacciati da un peso troppo grande ma decisi a sopportarlo per il bene di quel figlio; capaci, pur di non abbandonarlo, di convivere con il terrore. Chissà se sono stati abbandonati loro, se istituzioni e società potevano fare qualcosa, o chissà se hanno invece atteso troppo, preteso troppo da se stessi, chiuso gli occhi per amore, sottovalutato segnali: non importa, ormai, se lo hanno fatto è stato per amore, e non importa perché ormai non restano che lacrime. E sospetti. Anche sul dopo. Benno che partecipa alle ricerche, che depista e nega l’evidenza, che confessa solo quando il corpo di papà affiora dall’Adige, è un ragazzo fragile che rimuove o un architetto maligno che costruisce un puzzle di falsità. Restano fiori che galleggiano nel fiume, un corpo ancora prigioniero dell’acqua, i suoi occhi asciutti di lacrime e quelli bagnati della sorella che aveva sempre saputo. Glielo diceva il cuore, ma anche un’evidenza sfacciata: per lei, non c’era bisogno di prove.