Andrea Zalone, l’altra settimana “Fratelli di Crozza” non è andato in onda: tornerà il 9 aprile. Che cosa è successo?
«Che ci sono stati casi di positività in redazione e tra la produzione, nonostante tutte le precauzioni che adottiamo scrupolosamente e con l’attenzione maniacale che dedichiamo al protocollo. E allora ci siamo voluti fermare cautelativamente, anche se stiamo tutti bene. Dopo le sanificazioni, riprenderemo».
Il Covid è un ostacolo in più per chi vuole fare comicità?
«Non è facile andare avanti così, senza pubblico. Il nostro è a tutti gli effetti un testo teatrale, bisognerebbe stare lì, a contatto con le persone. Fare comicità significa anche confrontarsi».
Come si riesce a mantenere viva l’ispirazione?
«Non è per nulla semplice. Prepariamo il programma restando sempre distanziati, indossando le mascherine. Non è il clima che aiuta il comico. Però poi ogni volta ci pensa il Paese a proporre situazioni capaci di superare ogni tragedia: mi riferisco alle polemiche surreali della politica».
L’emergenza ha influito sulla scelta e sull’interpretazione dei personaggi?
«Crozza in realtà non ha dovuto cambiare il suo metodo, neanche l’analisi dei personaggi. Lui è l’autore per eccellenza e tale rimane, nonostante il vuoto lasciato dal pubblico abbia avuto un certo peso psicologico. Senza persone in studio, per esempio, non si può cercare l’applauso e giocare su quel momento come solitamente fanno i comici. Però, Maurizio ha saputo prendere le misure, ha proposto nuovi personaggi, si è adattato».
Facile immaginare che dai tanti virologi visti in tv sia arrivata nuova linfa per Crozza…
«Ci siamo dedicati a loro fin dall’inizio con grande attenzione: così sono nati i nostri Locatelli o Zangrillo. Se mettiamo da parte la tragedia, spunti per chi fa satira ce ne sono stati tanti. Il frullatore della comunicazione ci ha regalato tanti personaggi».
Del resto in vetrina sono passati molti volti nuovi.
«Per noi è stata una fortuna, si è addirittura verificato un eccesso di ispirazione in questo contesto. Basta un “tweet”, ancora prima che la pagina di un giornale. È tutta una questione di opinionisti. La comunicazione li ha sbattuti in prima pagina e così ci siamo abituati a leggere dichiarazioni su qualsiasi argomento. Per chi fa il nostro lavoro basta buttare la rete in mare per raccogliere materiale. Pochi si sottraggono al fascino del protagonismo. Dallo spunto poi nasce la parodia».
Ma l’ironia, in generale, resiste in questo periodo pieno di contraddizioni?
«L’ironia resiste, e per fortuna, perché ce n’è sempre bisogno. La trovi sul web, sui social. A volte magari è difficile distinguere il confine tra una notizia seria e una battuta: lì scatta l’ironia».
Ma si confonde sempre più con la realtà?
«L’ironia spinge verso territori inesplorati, in altre parole significa cercare verità da svelare. Un compito affascinante. Certi personaggi hanno verità che fanno proprie e queste emergono proprio grazie all’arma della satira. È una lente d’ingrandimento».
Anche un personaggio misurato e attento come Draghi regala spunti?
«Abbiamo realizzato un promo dove “Sandraghiniano” mette a regime tutti i politici. Ma al momento c’è ancora attesa per capire come si muoverà il Premier. Serve tempo per studiare le prossime mosse».
Ci sono idee per il futuro? Nuove imitazioni?
«Non facciamo mai programmi a lungo termine, Maurizio è legato all’attualità. A volte arriviamo al lunedì che non sappiamo su cosa puntare, poi arriva la dichiarazione di un politico e ci risolve il problema».
E per Zalone cosa c’è dietro l’angolo?
«Ma io sono felicissimo di lavorare con Crozza ormai dal 2006. Questo comporta dover sopportare alcune pressioni ma non così stringenti; devo ammettere che ricadono quasi tutte sulle spalle di Maurizio… Finché dura, andiamo avanti. I risultati continuano a essere confortanti».
Si può dire che le imitazioni di Crozza sono come degli editoriali?
«Direi di sì. Per la nostra rete, Discovery, rientriamo nella fascia di informazione di Nove, che peraltro non ha tg. Ma che comincia ad aprire a programmi di approfondimento giornalistico come “La confessione” di Peter Gomez. Il pubblico sa che in “Fratelli di Crozza” trova l’analisi dell’attualità che poi è frutto del lavoro della redazione giornalistica».
Perché Crozza non rilascia interviste?
«Perché ha già il suo ampio spazio per esprimere ciò che pensa e non avrebbe nulla da aggiungere. È una scelta che condivido in pieno anche se, personalmente, concedo a volte interviste sul locale, come per IDEA, ma perché mi sento legato a questo territorio. Tornando a Maurizio, lui ha già il grande privilegio di parlare in prima serata. E restando fuori da altri spazi, in qualche modo si sottrae al “frullatore” a cui accennavamo prima, al delirio degli opinionisti. È una linea editoriale chiara, lui è già pagato per esprimere le sue idee e il suo talento».
Diceva del suo legame con il territorio…
«È molto importante. Vivo a Torino ma amo anche le Langhe, tra l’altro mi mancano perché con il Covid ultimamente non ci sono potuto tornare. Il legame è dovuto anche al fatto che mio suocero abita a Piobesi d’Alba, quindi si tratta anche di una questione affettiva. Con mia moglie frequentiamo le Langhe da sempre, l’appuntamento con la Fiera del Tartufo è sempre stato irrinunciabile negli anni. Così come le visite rituali al cimitero di Piobesi. Ecco perché è un pensiero che mi ispira anche malinconia. Parliamo di una terra bellissima che ha saputo rinnovarsi negli anni senza snaturarsi, valorizzando le sue risorse agroalimentari e non solo».