Home Articoli Rivista Idea «Siamo i “ribelli” della musica vocale italiana»

«Siamo i “ribelli” della musica vocale italiana»

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“Italia’s got talent” ha dato al gruppo vocale cuneese dei Rebel Bit una (meritata) risonanza nazionale e li ha fatti (ri)scoprire anche nella nostra terra. Li incontriamo in una chiacchierata virtuale brillante e stimolante, dove ci raccontano esperienze, idee, visioni e progetti.

Come nascono i Rebel Bit?
«Dall’idea di dare modernità a un gruppo vocale tradizionale a quattro voci, mixando una parte elettronica. Nell’estate 2017 ci siamo focalizzati sulle nostre qualità, per capire cosa potevamo fare assieme. Vole­vamo inserire l’elettronica sul­le nostre “performance” vo­cali ma non avevamo la minima idea di come fare. L’incontro con Andrea Tro­na è stato fondamentale: ha tradotto le nostre idee in concretezza».

Perché “Rebel Bit”?
«Il “ribelle” nasce dal voler aggiungere l’elettronica in un contesto dove non c’è praticamente mai stata. Anche il “bit”, pur avendo assonanza con il “beat” delle percussioni, si riferisce alla cellula informatica».

Quali sono le esperienze che vi hanno influenzato?

«Noi abbiamo una tradizione corale molto “classica”, una base che rimane nel modo di scrivere e di cantare molte cose. Negli anni ci siamo ispirati a un gruppo danese che si chiama Postyr, uno dei primi al mondo a utilizzare l’elettronica: la loro esperienza è stata ispirazione per come sviluppare la tecnologia, più che dal punto di vista musicale. Poi il nostro linguaggio si è evoluto».

Un linguaggio che trova la sua esemplificazione nel vostro spettacolo, “Paper flights”…
«“Paper flights” rappresenta un’altra innovazione. Nasce dall’idea di non proporre il “solito” concerto tradizionale, ma declinarlo sotto forma di spettacolo. Ci basiamo sul “Piccolo Prin­cipe”, un libro tra i più famosi al mondo: abbiamo estrapolato le quattro emozioni che vengono fuori dalla lettura del libro traducendole in spettacolo, con brani originali e “cover” contestualizzate, abbinando parte visual con video, monologhi, giochi di luce…».

Parliamo di esperienze. Grati­ficanti quelle all’estero?
«Molto: nel 2019 siamo stati a Graz, poi a Mosca in un festival molto bello dove ci siamo esibiti per una settimana intera, anche due o tre volte al giorno, in giro per la città. E poi a Boston, al Boston Sing, un festival dove vengono assegnati gli Oscar della musica vocale. Lì ci siamo esibiti nella cerimonia di premiazione».

Invece la vostra partecipazione al “Los Angeles a cappella festival” è stata un’esibizione internazionale… fatta a Cuneo!
«Dopo la nostra trasferta a Boston siamo rimasti in contatto con l’organizzazione, che ci ha invitati a esibirci al festival americano. Esibizione fatta… al Conservatorio di Cuneo, in diretta web. È stata la nostra prima esperienza di questo ge­nere: noi, vestiti da concerto, sul palco, con i microfoni, le luci… Ma senza prove significative alle spalle, senza esibizioni live assieme da sei mesi, senza un pubblico al quale rivolgersi, senza applausi… Emotiva­men­te faticosissimo. Mental­mente e fisicamente più impegnativo di un concerto di un’ora e mezza».

Immaginiamo che questo mo­mento di chiusure sia difficile…
«Ci siamo visti molto poco. Non avendo eventi in programma è anche difficile trovare stimoli per provare. Abbiamo fatto attività a distanza, qualche video pubblicato sui social per tenerci attivi e vivo l’interesse nel pubblico che ci segue. Con difficoltà enormi. Siamo un gruppo, dovremmo trovarci, capire come suonano i pezzi assieme. Ma non si può».

Torniamo alle esperienze. “Ita­lia’s got talent”: come ci siete arrivati e come l’avete vissuta?
«È stata un’esperienza totalmente diversa da tutte le altre, e molto lontana dal nostro mondo. Ad ottobre abbiamo sostenuto un provino online, siamo stati presi e siamo andati a registrare la puntata a Roma. Un’esperienza con emozioni del tutto diverse da un “live” classico. Non logorante, nonostante le 12 ore in studio, ma un po’ surreale. Abbiamo proposto “Pure imagination”, un brano che proviamo da anni ed è totalmente calato nella proposta dei Rebel Bit. E siamo piaciuti».

Comunque un’opportunità?

«Un’ottima vetrina: lavoriamo in un mondo martoriato da un anno, in un campo (quello della musica vocale) poco valorizzato: riuscire a partecipare anche solo per un minuto e mezzo a un programma tv ha permesso di far conoscere il nostro progetto. Anche, paradossalmente, a livello locale!».

Quindi la tv aiuta (ancora) più del web per farsi conoscere al grande pubblico?
«Ti dà ancora un’autorevolezza diversa, rispetto al web. Ciò non vuol dire che chi fa tv è più bravo. Ad esempio, a noi il web ha dato una grossa mano: una condivisione fatta da Nicolò Fabi di una nostra “cover” di un suo brano ci ha portato una grande notorietà».

L’attuale fase della musica i­ta­liana permette di sperimentare?
«È fondamentale fare qualcosa di qualità. E che sia “vero”. Il mercato musicale è immenso, ma c’è una fetta per tutti, bisogna avere pazienza che arrivi. Certo, ogni tanto ci sale il dubbio che quello che proponiamo non sia adeguato, non “piaccia”: ma questo è quello che facciamo, non siamo “altro”».

I prossimi step dei Rebel Bit?
«Lunedì (29 marzo, ndr) è uscito il nostro nuovo singolo: “Ou­t­side” è un brano originale, già ascoltato in Paper Flights, ma con un’aggiunta molto sostanziosa di elettronica. Abbiamo in cantiere un Ep con brani nuovi che contiamo di far uscire nei prossimi mesi. Un’e­voluzione del nostro linguaggio musicale, più che artistica, attraverso la quale contiamo di avvicinarci di più al mercato della musica elettronica».