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«Siate sempre creativi nelle vostre decisioni»

L’economista Alessandro Ghio, originario di Dronero, è stato premiato come “Bonelliano dell’anno 2020”

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Nelle realtà come Cu­­­neo, le (sane) ri­va­lità tra studenti sono spesso legate al­l’indirizzo di studio, a differenza di ciò che avviene nelle grandi città, dove tali situazioni si verificano principalmente per “questioni di quartiere”. Chiunque abbia frequentato l’Itc Bonelli ha detto almeno una volta di essere o esser stato un “Bonelliano” con tono fiero e senso di appartenenza. Su questo e molti altri princìpi si fonda l’“EverGreen”, l’associazione che dal 1995 unisce ex studenti, professori, bidelli e presidi dell’istituto cuneese e che da vent’anni, annualmente, nomina il “Bo­nelliano dell’anno”, ovvero un ex allievo che abbia ottenuto risultati di particolare risonanza nel lavoro o nello studio, nel sociale o nello sport, e così via. Seppure con qualche mese di ritardo, dovuto all’e­mer­genza sanitaria in corso, nella mattinata di lunedì 29 marzo, in via telematica con base al Bonelli, è stato pro­cla­ma­to “Bonelliano dell’anno 2020” l’economista Ales­­san­dro Ghio. Dronerese d’origine, diplomato nel 2008, laureato in Economia al Sant’Anna di Pisa, un dottorato in Mana­ge­ment all’Università di Pisa e successivamente in Finanza aziendale all’Essec Business School di Parigi, premiato nel 2019 dall’Aspen Institute di New York, dopo le esperienze all’Ecole Normale di Parigi e all’Indiana University negli Stati Uniti d’America, Ghio è oggi docente universitario di Economia Aziendale presso l’Università Monash di Mel­bourne, in Australia.

Cosa si prova a essere “Bo­nelliano dell’anno”?
«Dato il fuso orario, ho visto la mail di nomina la mattina, appena sveglio e, senza dubbio, è stata un’enorme soddisfazione, dal sapore particolare. Nonostante i premi che ho avuto l’onore di ricevere fin qui, questo ha un valore particolare, soprattutto perché giunge dalla mia terra d’origine e perché è legato a un’istituzione che mi ha dato molto».

Che ricordi ha degli anni passati al Bonelli?
«Sono stati anni in cui ho imparato le nozioni base di Econo­mia Aziendale, Diritto ed Eco­no­mia Politica. Ciò mi ha permesso di terminare la triennale in due anni e indirizzarmi presto verso la carriera accademica. Sono anche stati gli anni delle cene di classe, delle gite e delle temute interrogazioni e delle prove scritte, ma soprattutto delle amicizie che persistono nel tempo e delle persone che rivedo ogni volta in cui torno in Italia».

Com’è nata la passione per l’economia?
«Ammetto che da piccolo ero molto appassionato sia di storia che di economia, oltre che del gioco super capitalista “Mo­nopoli”. La scelta tra ra­gio­ne­ria e scientifico è stata difficile, ma ne sono pienamente soddisfatto. Le lezioni e le ore passate a discutere con mio padre, il quale gestisce una piccola azienda, mi hanno fatto capire l’importanza dell’imprenditorialità e dell’economia nelle dinamiche sociali».
La vittoria della Gara Nazionale Igea nel 2007 è stata un trampolino di lancio?
«Questa è stata una delle mie primissime grosse soddisfazioni. Andavo bene a scuola, ma alla fine ero sempre uno studente di un paesino in provincia di Cuneo (Dronero). Vin­cere ha rafforzato la fiducia in me stesso, in quello che avevo im­parato al Bonelli e la possibilità di intraprendere sfide e strade che pensavo fossero “troppo difficili”».

La “giornata tipo” di un economista?

«Ricerca, ricerca, ricerca e insegnamento. I miei interessi principali sono capire come l’attività delle aziende sui social media influenzi investitori e fornitori e il ruolo delle donne nella professione contabile. Da economista all’università, ten­go un corso che coniuga Eco­nomia Aziendale, Socio­logia e Arte».

Se dovesse dare un consiglio agli studenti di oggi?
«“Siate creativi nelle vostre decisioni”: è così che termino ogni mio corso. Ritengo essenziale che gli studenti di oggi siano capaci di immaginare e reinventare continuamente il loro lavoro, le loro attività e la carriera professionale, considerata la continua automazione del mondo del lavoro».

Cosa serve al sistema di istruzione italiano?
«Viaggiando ho potuto apprezzare la qualità della scuola italiana, soprattuto dalle elementari alle superiori. Quello che vorrei vedere è più mobilità sociale all’università: troppo spesso gli studenti, provenienti da istituti professionali o tecnici, non si sentono pronti ad affrontare il percorso universitario. Il mio consiglio è provarci e non avere paura».

Di cosa parla “Obiettivo mobilità sociale”?

«È l’unico libro che ho scritto in italiano (mentre i più recenti sono in inglese e su temi più accademici) e mappa le difficoltà odierne del sistema d’istruzione italiano nell’adempiere l’articolo 34 della Costi­tu­zione, ovvero “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Il libro propone azioni per rendere nuovamente la scuola e l’università “ascensori sociali”. Questo lavoro si è svolto in collaborazione con il Ministero dell’Istru­zione e mi ha permesso di conoscere molte realtà, tra cui Scampia, Bagheria e le periferie di Milano. Le potenzialità sono molte, ma non dobbiamo arrenderci all’avanzare delle disuguaglianze sociali».