Il rischio, in questi frangenti, non è solo quello di farsi “schiacciare” da divieti, restrizioni e preoccupazioni, ma addirittura di perdere il desiderio di socializzare e divertirsi. Per evitare che questa nube negativa avvolga troppi giovani Joe T Vannelli, il più famoso dj italiano di musica house, ha ideato un tour nazionale che lo sta portando a suonare presso alcuni dei luoghi più caratteristici dello Stivale. Nei giorni scorsi, il suo inconfondibile “sound”, dopo una tappa autunnale a Barolo, è giunto anche nei cieli di Mondovì. Proprio così, perché l’artista, pugliese di nascita ma lombardo d’adozione, ha tenuto un dj set a bordo di una mongolfiera che ha sorvolato le vallate monregalesi. Noi della Rivista IDEA lo abbiamo intervistato a margine dell’evento che ha interessato la Granda.
Joe, che rapporto ha con la provincia di Cuneo? Ha apprezzato di più i panorami o la cucina?
«Cominciamo dall’aspetto più piacevole, la gastronomia: tartufo, Barolo e tutti i piatti che la vostra zona offre. Del resto, per stare bene si deve mangiare e bere bene. Poi, ci sono i panorami: bellissimi. Penso alle Alpi e al Monviso che, tra l’altro, mi era “apparso” per la prima volta a gennaio, durante la diretta di Laveno. Allora, lo avevo visto in lontananza, come una piramide in mezzo alla cordigliera alpina: mi dissero che era raro vederlo da quella distanza e che, quindi, era un “buon segno”!».
Ora che impressione le ha fatto dalla mongolfiera?
«Ripensando a quel dj set, mi rendo conto di aver fatto una cosa davvero unica; un’esperienza che mi resterà per sempre. Farsi trascinare dal vento e ammirare l’Italia sotto di me, che emozione! Poi ogni viaggio in mongolfiera è unico e irripetibile, proprio perché è il vento a decidere, l’uomo ha un ruolo marginale rispetto a quello della natura».
Quali emozioni le sta restituendo il “Live Tour” in giro per l’Italia messa in ginocchio dalla pandemia?
«Cerco di traferire il mio senso di libertà a chi mi segue: è un messaggio di resistenza e resilienza alla pandemia. In parallelo, ho l’opportunità di scoprire e visitare in prima persona luoghi nei quali di sicuro non sarei mai riuscito ad arrivare senza questo progetto e senza la disponibilità di chi crede nelle potenzialità del tour, lo sostiene e lo vuole portare nella propria zona».
C’è un “angolo” del nostro Paese che l’ha colpita in maniera speciale?
«Il luogo del cuore è Taranto, la mia città di origine. Lì sento ribollire dentro le vene il sangue dei miei avi, gli Spartani».
Si sente anche lei un guerriero? «Sì. Adesso sto combattendo, come tutti, per resistere alla pandemia e portare un messaggio positivo a chi è “fiaccato” dalla situazione attuale, compreso il mondo dei club».
Le manca molto il contatto con il pubblico?
«Certo! Non poter trasmettere fisicamente l’energia e l’emozione che genera un dj set è durissimo. A volte mi manca quasi come se fosse una parte del mio corpo…».
Non c’è il rischio che i continui “lockdown” spengano nei giovani la voglia di fare party dal vivo, facendoli piombare in una dimensione completamente “virtuale”?
«No, perché la vera passione non si spegne mai!».
Lei è anche stato imprenditore, aprendo due discoteche. In Italia, già prima della pandemia, le cose per i club, che citava prima, non andavano bene. Qual è il motivo di questa crisi?
«Con l’avvento dei festival internazionali, le dinamiche dei club sono cambiate. È divenuto impossibile fare concorrenza a “line-up” stellari che annoverava tra gli ospiti moltissimi dj di fama mondiale; i club, per poter competere con tali realtà, sono di fatto costretti a offrire un servizio troppo elevato, non sostenibile per loro».
Quali strategie, secondo lei, vanno attuate per rivitalizzare il settore?
«Attendiamo i vaccini; una volta placata la pandemia torneremo a ballare in maniera più serena e libera, come la “nightlife” richiede».
Una via per reagire è anche quella di valorizzare i giovani e favorire la diffusione della cultura musicale. Lei, in questo senso, è un anticipatore, viste le iniziative di “talent scout” e promozione della musica che ha avviato a Milano. Vuole parlarci del suo progetto “Sound Faktory”?
«Si tratta di un mio “hub” che nasce proprio con questa esigenza: dare opportunità a giovani artisti e dj di esprimersi in un percorso professionale completo, dalla produzione, alla distribuzione, alla performance dal vivo o in streaming. Prima della pandemia, avevo già concepito, in Sound Faktory, una sala studiata per realizzare streaming musicali insieme ad altri artisti con l’obiettivo di diffondere la loro musica in tutto il mondo collegato in rete. In questo senso, sono stato un precursore ed è forse proprio per via del progetto avviato a Milano che mi è venuto naturale spostare la mia attività dal vivo al web. Poi, acquisire le competenze per realizzare le dirette e definire a un progetto strutturato che funzionasse e proseguisse per una anno è stato molto complesso. Mi sono dovuto completamente reinventare».
Lei che ha avuto la fortuna (e la bravura) di realizzare il suo sogno e affermarsi a grandissimi livelli che consigli si sente di dare ai giovani? Come si coltivano i sogni? Come si affrontano le difficoltà della vita?
«È essenziale credere in sé stessi e prefissarsi delle mete, anche irraggiungibili, facendo di tutto per raggiungerle. Il cervello crea sempre dei presupposti per realizzare i propri sogni, purché ci si creda veramente e a questo si uniscano la passione, la determinazione, la fatica, il sacrificio e la dedizione».
In conclusione, cosa occorre quindi fare per essere felici e in pace con sé stessi, in una società che sembra essersi dimenticata dei giovani e, in generale, delle necessità più “umane” delle persone?
«È impossibile dimenticarsi dei giovani: io ho tre figli di età diverse e sono loro la linfa della mia vita perché mi stimolano a fare sempre di più. Dal canto mio, da padre e da artista, ci tengo a stimolarli verso una vita indipendente, pragmatica e piena di rispetto per sé stessi e gli altri».