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«Dobbiamo guarire dall’individualismo»

L’attrice e artista visiva Camilla Filippi, bresciana d’origine ma conoscitrice del Piemonte (e della sua enogastronomia), si racconta: «Sul set provo vero dolore; il senso della vita però sta nelle persone che amo»

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Attori si diventa, ma soprattutto si nasce. Chie­dere a Camilla Filippi, artista bresciana, ma conoscitrice del Piemonte e della sua cucina, che da ragazzina con il sogno della recitazione è divenuta una delle attrici italiane più apprezzate, specie dopo l’emozionante interpretazione nella fiction di Rai Uno “Tutto può succedere”. Re­cen­te protagonista del thriller psicologico “La stanza” (di­spo­ni­bile su Amazon Prime Vi­deo), l’abbiamo intervistata.

Camilla, partiamo dalle origini. Cosa fa una futura attrice quando è bambina?
«Nel mio caso, fin da piccola mi dicevo che avrei fatto l’attrice e, infatti, a 13 anni ho iniziato con le campagne pubblicitarie… Tuttavia, sono con­vinta che da bambini si debba essere… bambini: non si dovrebbe lavorare e recitare non è sicuramente un gioco ma, appunto, un lavoro».

A causa della disabilità degli zii, si è dovuta subito confrontare con le difficoltà della vita. Ciò come l’ha influenzata a livello artistico?

«La vita che si vive fin da bambini influenza sempre trasformandoci negli adulti che siamo oggi. Aver faticato, su­bito ingiustizie, imparato ad accogliere mi ha arricchita come essere umano. Credo che avere un bagaglio emotivo e un vissuto molto ampi sia un vantaggio nell’“atto creativo”».

Lei ha anche perso presto la mamma. Come ha reagito?

«Male, come tutti. Non si è mai pronti, ma poi si va avanti».

Di fronte a quanto ha scatenato il coronavirus, invece, che cosa ha provato?
«Provo dolore, dispiacere per le persone che se ne sono andate e per quelle che non le hanno potute salutare».

Il Covid ci aiuterà a rendere la nostra società più “umana”?
«Come accade in tutte le situazioni fortemente im­pattanti, la pandemia in alcuni ha fatto emergere il lato positivo e in altri quello negativo. Non sono del tutto di­sfattista: penso ci sia molto da fare per andare oltre all’individualismo, malattia di cui siamo affetti, ma voglio credere che finché ci saranno persone che lottano ci sarà speranza».

Spesso ha interpretato ruoli mol­to dram­­ma­ti­ci. Ha sofferto a li­vel­lo emotivo?

«Il dolore, perché passi a chi ci guarda, lo devi vivere, quindi as­solutamente sì!».

Mettere in scena la drammaticità umana le fa bene?
«A volte mi sento profondamente schiacciata. Ma esternare le emozioni, vo­lendo tracciare un bilancio complessivo, fa sempre bene».

Con le sue parti ha anche fatto emergere le fragilità e le difficoltà che i genitori incontrano ogni giorno nel loro ruolo familiare. Lei che mamma è? In che modo “guida” i suoi figli?
«Sono un essere umano e in quanto tale fragile. A volte con i miei figli sono troppo dura, altre volte troppo permissiva. Sono certa solo di una cosa: li sosterrò sempre, in ogni loro decisione».

Lei è anche artista visiva. Ha suscitato un grande interesse il suo progetto “#psychedelicbreakfast”, un diario tenuto su Instagram in cui per duecento giorni ha raccontato, cambiando aspetto, il suo stato d’animo. In questo preciso momento, di chi assumerebbe le sembianze?
«Al momento non riesco ad immaginarmi in altre sembianze all’infuori di me».

E domani, invece, “chi” vorrebbe essere? Ha ancora la stessa voglia che aveva da bambina di “essere al centro” dello spettacolo? Sta qui il senso della sua vita?
«Se il senso della mia vita fos­se il mio lavoro per me sarebbe un fallimento, al centro ci sono la vita e le persone che amo; il resto può cambiare, finire, trasformarsi».

Come ha recentemente di­chiarato in alcune interviste, sa essere artista anche in cu­cina. Il padre dei suoi figli è astigiano. Qual è la sua specialità “made in Piemonte” che preferisce cucinare (o mangiare)?
«Mi piacciono tantissimo gli gnocchi al Castelmagno».

Se l’arte salverà il mondo, che cosa può fare la cucina o, meglio, il cibo?

«Le scelte alimentari possono influire in maniera significativa sul cambiamento climatico e, in particolare, esistono correlazioni tra la produzione intensiva di carne, l’inquinamento globale e il benessere degli esseri umani. Tutto questo per dire che, in sostanza, è quanto mai opportuno ap­proc­ciarsi a questo argomento con una sensibilità differente, più attenta alla salute del pianeta e dell’uomo».