Il ritorno del lupo

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Da quando è tornato a colonizzare il territorio alpino, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, il lupo è balzato agli onori della cronaca con toni, ora di accorata difesa, ora di aperta condanna da parte dei diversi gruppi di interesse e delle differenti sensibilità individuali presenti nell’opinione pubblica.
Al di là delle legittime posizioni personali è importante cercare di inquadrare il fenomeno nella sua giusta dimensione (ambientale, ecologica e scientifica), cercando di chiarire alcuni aspetti che spesso vengono presentati non sempre correttamente a livello mediatico.
È ormai ampiamente dimostrato che il ritorno del lupo è un fenomeno naturale come conseguenza della grande capacità di “dispersione” della specie sul territorio. Ricordiamo, a tal proposito, che una trentina di anni fa, M15, un esemplare liberato con radiocollare per monitorarne gli spostamenti sull’Appennino Parmense, è stato rinvenuto nell’area del Parco della Valle Pesio, dopo aver percorso centinaia di chilometri in breve tempo.
La ricolonizzazione di un’area che per molti anni non ha visto la presenza di questi animali è essenzialmente dovuta a tre fattori: presenza di numerose prede (per lo più ungulati in territorio appenninico e alpino), il progressivo abbandono di ampie aree rurali da parte della popolazione e protezione legale della specie a partire dagli anni ’70.
In natura gli ecosistemi sussistono grazie ad un delicato equilibrio tra preda e predatore, mentre nei sistemi rurali alpini sono necessarie misure di protezione e prevenzione dalle predazioni che devono essere pensate e attivate dalle amministrazioni locali in collaborazione con gli enti pubblici e le associazioni di categoria.
I lupi sono strutturati in branchi stabili sempre alla ricerca di territori di caccia da colonizzare, ecco perché la composizione del singolo branco dipende dal numero dei componenti. Risulta pertanto controproducente la soppressione di qualche esemplare per limitare l’espansione della popolazione: in questo modo non si farebbe altro che liberare nicchie ecologiche già occupate, ma che verrebbero prontamente ricolonizzate da altri individui.
Per monitorare, gestire e limitare i problemi legati alla presenza del lupo esiste in Italia un network di operatori riuniti nel progetto “Life WolfAlps” che da anni si interessa del fenomeno confrontando i propri dati con quelli internazionali, sviluppando competenze di elevato valore scientifico, riconosciute a livello mondiale e premiate a livello europeo come miglior progetto 2020 in ambito naturalistico.
In conclusione, la conoscenza e la documentazione personale offerta da un confronto con i medici veterinari coinvolti in queste ricerche rimangono fondamentali per un corretto approccio alla questione e per fugare dubbi e paure, che spesso le credenze popolari alimentano con falsi miti.

Emilio Bosio, presidente dell’Ordine dei Medici Veterinari della Granda