«La nostra prima attenzione, non mi stanco di ripeterlo, è al consumatore e al prodotto». In queste poche ma chiare parole pronunciate da Pietro Ferrero sta la filosofia del Gruppo dolciario nato ad Alba. Una filosofia, “scritta” da Michele Ferrero e sviluppata dai figli Pietro e Giovanni, che mette al centro le persone (siano esse i consumatori oppure i dipendenti dell’azienda) e la crescita sostenibile. Per “trasmettere” ai figli tale sensibilità Michele è partito da lontano: i due fratelli, come dissero nell’intervista concessa al giornalista Gigi Padovani per il libro “Nutella: un mito italiano” (Rizzoli, 2004), erano soliti accompagnare il padre in azienda fin da bambini. In questo modo, raccontava Pietro, «imparammo tutti i segreti degli impianti di Alba», anche perché, una volta arrivati in fabbrica, papà Michele li «lasciava lì in modo che trovassero la strada». Insegnamenti che hanno dato i loro frutti perché Pietro e Giovanni hanno imparato ad amare gli stabilimenti. «I tubi caldi con dentro la Nutella e le macchine che a velocità impressionante realizzano prodotti dalla qualità artigianale mi appassionano sempre», osservava Pietro.
A proposito di prodotti, è vero che la perfezione non esiste, ma la Nutella è forse il prodotto che va più vicino al concetto di perfezione . Non è solo una questione di “gusto” e piacere dei sensi: la crema spalmabile a cioccolato e nocciole più famosa (e premiata) del mondo rappresenta una sorta di “chiusura del cerchio”. Sì, perché con Nutella si è tornati a quelle origini che hanno dato il via al “mito Ferrero”. Nel periodo dell’affermazione di Nutella e, in generale, della crescita di Ferrero nel mondo, avvenuta soprattutto grazie all’impulso dell’indimenticato “signor Michele”, l’azienda dolciaria è tornata a essere guidata da “un Pietro” e “un Giovanni”, gli omonimi “junior” dei capostipiti, Pietro e Giovanni Ferrero, appunto. Questo passaggio storico avvenne il 6 giugno 1997, quando i due fratelli vennero nominati amministratori delegati del Gruppo.
Sette anni più tardi, nel “dialogo incrociato” con Gigi Padovani che si citava in apertura, Pietro raccontava a cuore aperto momenti curiosi della sua infanzia. In particolare, parlò del suo speciale legame con la Nutella, iniziato, proprio con il fratello Giovanni, in un’estate di fine anni ’60, quando i due, in vacanza in Costa Azzurra, “sorvegliati” da una tata tedesca «severissima al limite del dispotico», come la definì Giovanni nell’intervista, assistettero al “furto” da parte di un loro amico coetaneo che avevano ospitato, il quale, vedendo un barattolo di Nutella nella credenza, non resistette e lo “prelevò”. Nemmeno Pietro e Giovanni resistettero alla tentazione e si unirono all’amichetto: di quel barattolo restò ben poco. «Che cosa ruba un bambino di cinque anni? La Nutella nella credenza», commentò Pietro nell’intervista, «È un prodotto al quale sono molto affezionato, che ha lasciato tracce in me soprattutto durante l’adolescenza e poi nella maturità». Un legame tanto forte da spingerlo a portarsi con sé la Nutella durante i suoi viaggi. «La portavo in valigia quando andavo in una località dove pensavo di non poterla trovare». «È una parte di me», sentenziò in conclusione. «È un innamoramento che dura. Una passione che si scopre nell’infanzia e si apprezza con il passare degli anni: ci si lega a questa crema così buona. Intendiamoci, nel vasetto sono contenute ottime qualità nutrizionali, ma per me Nutella rimane una sorta di àncora di salvataggio in momenti difficili». E poi è internazionale: «I francesi la percepiscono come francese, i tedeschi immaginano sia nata in Germania. Suscita le stesse passioni. Per questo la definiamo “glocal”. Ma è chiaro che è un “campione” del “made in Italy” che va tutelato».