Il traguardo dei 90 anni lo ha celebrato chiuso in casa, come da copione Covid. Era andata così anche l’anno prima. Ci ha pensato la moglie Ilaria ad addobbare la casa di festoni colorati per non far sentire al festeggiato, Giorgio Forattini, il peso di una forzata e strana “prigionia”. Chissà, magari negli anni c’è stato qualcuno che ha immaginato per il vignettista romano un contrappasso del genere. Pensiamo alle innumerevoli vittime della sua satira che certo non avranno gradito, al tempo, quelle attenzioni. Ma in fondo Forattini non ha fatto altro che testimoniare un’epoca, a modo suo. Ha realizzato qualcosa come 14 mila vignette, ha preso di mira presidenti, papi, leader politici, personaggi italiani e stranieri. Ha raccontato avvenimenti cruciali nella storia d’Italia e spesso tragici, come gli attentati del terrorismo o le stragi di mafia. Attingendo a piene mani da vicende come Mani Pulite.
Ha detto di essersi sempre ispirato al principio della libertà e del divertimento, due concetti che oggi hanno un suono un po’ strano. In ogni caso, al tempo, la sua attività doveva mettere in conto tanti risvolti complicati. Forattini ha confessato che c’era chi si limitava a contattare il direttore del giornale con cui collaborava, altri invece passavano direttamente alla querela. Le sue frecciate facevano sorridere ma anche arrabbiare. A proposito, proprio a una querela è legato il suo addio a “Repubblica” con il successivo passaggio a “La Stampa”, dove firmò un ricco contratto propostogli dall’avvocato Agnelli. Fu Massimo D’Alema, al tempo presidente del Consiglio, a chiedere un risarcimento di tre miliardi di lire dopo una vignetta scomoda. Lo fece accusando direttamente Forattini e non il quotidiano. Era la prima volta, poteva essere un precedente pericoloso per la libertà d’espressione. Forattini caratterizzava i suoi personaggi con tratti indelebilmente riconoscibili: Craxi era sempre rappresentato come un duce con gli stivaloni e la camicia nera, mentre proprio D’Alema, con i suoi baffetti, era una sorta di Hitler comunista con tanto di divisa. E poi c’era Berlinguer in vestaglia da camera, Buttiglione gorilla, Bossi alla Alberto da Giussano, Prodi era il curato di campagna, Andreotti invece aveva mille travestimenti.
A pensarci adesso, c’è ancora da sorridere: erano intuizioni geniali. Forattini ha spiegato di essersi affezionato allo Spadolini nudo come un “putto”, mentre la prima vignetta uscì su Paese Sera e pronosticava l’esito del referendum sul divorzio, si vedeva Fanfani (di bassa statura) su una bottiglia di champagne e la battuta era: “stavolta il tappo salta”.
Le sue vignette diventarono negli anni a tutti gli effetti degli editoriali: celebre quella dedicata a Giovanni Falcone dopo la strage di Capaci. La Sicilia era rappresentata come una testa di coccodrillo, in lacrime. Forattini aveva coraggio e soprattutto, libertà d’azione. Era indipendente, esprimeva una satira raffinata e diretta al tempo stesso, fotografia di un periodo storico. Certo, qualche passo falso c’è stato. La materia era delicata e non sempre le ironie possono evitare di ferire. Il disegnatore ammette di aver sbagliato a pubblicare, per esempio, la vignetta del suicidio di Raul Gardini.
Chissà se anche oggi Forattini, che ha sempre ribadito di non sentirsi né di destra né di sinistra, sarebbe protagonista come allora. Il contesto è cambiato, si è fatto difficile. L’ironia è un bene in via d’estinzione, le provocazioni sono all’ordine del giorno e tutto già esiste sui social. Forattini lasciò “Il Giornale” dopo le polemiche per una vignetta su Berlusconi in mutande. Oggi chissà. La realtà, come si dice, ha abbondantemente superato la fantasia.