Irene Borgna è nata a Savona ma è nelle montagne piemontesi che ha trovato il modo di trasformare la sua passione in un mestiere, di cui parla con un’energia travolgente. Dopo un dottorato di ricerca in antropologia alpina si è trasferita in Valle Gesso, dove si occupa di divulgazione ambientale e lavora come guida naturalistica. Il suo ultimo lavoro è “Cieli neri. Come l’inquinamento luminoso ci sta rubando la notte”.
Irene com’è nata l’idea di un viaggio alla ricerca dei cieli meno illuminati d’Europa?
«Io e il mio compagno, guardia forestale, siamo piuttosto selvatici e l’estate scorsa ci è venuta la voglia di esplorare l’Europa alla ricerca di luoghi lontani dall’inquinamento luminoso e di storie interessanti da ascoltare. Ci siamo resi conto che trovare in Europa una notte senza luce è una vera rarità e così ci siamo incuriositi. Dalle Alpi Marittime abbiamo raggiunto il Mare del Nord, esplorando i posti di giorno e cercando di carpirne i segreti dopo il tramonto».
Dove si trovano i cieli più bui in Piemonte?
«Noi cuneesi siamo viziati, in alta montagna si riescono ancora a scovare zone così ma nessuna è davvero pura, per trovarne una incontaminata dovremmo andare nel deserto australiano. Per i nostri nonni che di notte fosse buio era un concetto banale, per noi, nel 2021, è diventato un lusso. Un luogo magico è l’altopiano della Gardetta tra la valle Stura, Grana e Maira perché è completamente schermato e le luci di Cuneo e Torino non arrivano fin lassù. È impressionante quanta energia usiamo di notte nelle metropoli, luce che poi viaggia per chilometri nell’atmosfera e raggiunge anche le montagne lontane. Un enorme spreco che ci ha rubato la notte»
Cosa succede nel buio assoluto che ci siamo persi?
«Non si può raccontare quello che si sente ad assistere allo spettacolo delle stelle nel cielo avvolti dalle tenebre più profonde, quelle a cui non siamo più abituati; sembra di cadere nella notte. L’uomo è un animale diurno, dobbiamo farcene una ragione e lasciare spazio ad altre specie create per il buio. Se cancelliamo la loro notte, impediamo a moltissimi insetti di fare il loro lavoro, anche alcuni impollinatori meno “vip” delle api, tipo le falene, svolgono un compito fondamentale per la nostra vita e lo fanno quando cala il sole. Non dovremmo dimenticarci che senza gli insetti moriremmo dopodomani».
Come possiamo migliorare la situazione?
«Non si tratta di restare tutti al buio ma di illuminare meno e meglio, in maniera più precisa e senza sprechi, la tecnologia esiste già e ci guadagneremmo in salute, energia e denaro solo facendo in modo che la luce non venga sparata in alto e spegnendola del tutto nelle ore di notte profonda. In alcune città europee questa politica è già attuata. Nel 2012 era stata avanzata una proposta di legge in questa direzione, il nome infelice “Cieli bui” non ha aiutato».
Esistono Paesi virtuosi?
«L’Italia è tra le aree più illuminate d’Europa, in Germania sono più attenti. È questione di abituarsi a relativizzare la paura che sentiamo quando siamo privi dell’ausilio della vista, il senso su cui facciamo più affidamento. Spesso colleghiamo le tenebre all’ignoto, al pericolo, alla perdita di controllo e siamo così poco abituati a muoverci in assenza di visibilità che le cellule dei nostri occhi che si attivano al buio si sono molto impigrite».
Perché siamo così spaventati?
«La notte è fuori dal nostro controllo, non è domestica, ci fa sentire vulnerabili. Suoi ospiti. In effetti, dal punto di vista biologico, non è casa nostra, non siamo disegnati per andare in giro di notte: siamo delle scimmie in gamba ma dobbiamo stare umili».
Cosa ci insegna invece la montagna che lei tanto ama?
«Ci mette a confronto con il nostro senso del limite perché è verticale e quindi faticosa. Nello stesso tempo ci rende grati. La fatica di raggiungere la meta viene ricompensata dal privilegio di goderne poi la bellezza. Ci mette in contatto con il nostro corpo, le gambe affaticate, il vento, i profumi degli alberi, il sole che scotta la pelle. Rende aguzzi i nostri sensi e più attenta la mente».
Quest’anno abbiamo assistito al “boom” dei turisti di montagna…
«È un effetto collaterale positivo del periodo difficile, i gestori dei rifugi, mi raccontano di persone che arrivano in vetta stravolti, con abiti anni ‘80, e chiedono sottovoce quale sia la strada asfaltata segreta per arrivare fin lassù, increduli del fatto che la via per tanta bellezza sia solo quella faticosa».
Come si può insegnare questo ai bambini?
«Bisogna esporli direttamente alla montagna e alla notte. Ci si sente parte di un ecosistema solo se lo si assaggia con tutti i sensi. Solo quando c’è un affetto reale per l’ambiente viene voglia di attivarsi per difenderlo, non servono regole calate dall’alto. “Cieli neri” nasce dall’esperienza di esposizione alla notte che si può provare anche al rifugio della Gardetta. La sensazione di stare sotto a quel cielo gigante ti cambia per sempre. Si prova stupore e meraviglia. Camminando in una notte di luna piena ci si accorge che fa le ombre. Non dobbiamo ritenerci così evoluti da fare a meno del nostro corpo, i nostri sensi sono molto più efficaci di quanto pensiamo. Esporsi alla notte comporta una buona dose di coraggio, ma riserva grandi sorprese».