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Ci vuol fegato ad avere cuore

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Caro Alessandro, immagino di ferire il tuo orgoglio dicendotelo, ma il mondo è pieno di persone con il tuo stesso atteggiamento. Non che tutte si trovino nella situazione tua, con una bella patata bollente in mano; ma tanti partono con aspettative bellicose, pensano di conquistare l’universo e poi si trovano a dover fare i conti con la realtà più normale (che nel tuo caso è allo stesso tempo straordinaria, come non può che essere la futura nascita di un figlio).
Diceva Tolstoj: «Tutti pensano di cambiare il mondo, nessuno pensa di cambiare se stesso». Tu non sfuggi alla regola, dando prova di immaturità nel pensare di poter trovare un mondo a tua immagine e somiglianza, invece di co­struire il tuo posto in questo mondo con cui, mi rendo conto, in questi mesi di “lockdown” puro o annacquato, è tutt’altro che facile trovare una sintonia profonda.
Questa futura paternità ha un po’ scombinato le carte e non è detto che sia un male. A patto che ti ricordi sempre che essere un buon padre non implica essere un buon compagno.
Tu hai il diritto e il dovere di crescere tuo figlio, ma questo non significa avere diritti e doveri nei confronti della madre. Diritti e doveri, preciso bene. Non puoi permetterti di rischiare di costringerla a una vita infelice perché ti sei persuaso che questo ruolo che ti è caduto addosso sia il tuo posto nel mondo. La tua scelta magari è anche convinta, ma dev’essere soprattutto convincente. Lo devi a tuo figlio, alla ragazza che lo porta in grembo e non di meno a te stesso.