Da anni conduttrice multimediale per Sky Tg24 e per Radio 24, Maria Latella è una giornalista la cui preparazione è certificata anche dai seminari tenuti all’Institute of Politics dell’Università di Chicago. Le abbiamo chiesto di fotografare l’attuale scenario.
Le annunciate riaperture erano molto attese, tra gli altri, dai ristoratori. I segnali però sono contrastanti: crede che tutto andrà per il meglio?
«Dipenderà in gran parte dalla consapevolezza dei cittadini che peraltro sono già stati messi a prova l’estate scorsa, con situazioni che magari sono sfuggite di mano come quella della Sardegna dove siamo passati da una situazione di tranquillità contraddistinta dalla zona bianca alla successiva emergenza della zona rossa. Speriamo bene. Così come per la maggior parte ci siamo dimostrati responsabili durante i diversi lockdown, allo stesso dovremo dimostrarci altrettanto consapevoli della realtà che stiamo attraversando. Ma ci sono anche segnali incoraggianti. Abito a Roma e qui il sistema delle vaccinazioni sta funzionando. Si avverte un clima collaborativo, tutto sta procedendo per il meglio. Potrebbe andare così anche per i ristoranti che devono riavviare l’attività per recuperare normalità».
Ora però l’entusiasmo di chi può riprendere a lavorare rischia di scontrarsi con la doccia fredda delle tasse (per esempio quella sui rifiuti) che arrivano in questo periodo di crisi e aggravano l’emergenza. Come se ne può uscire?
«Il Governo Draghi è consapevole della delicatezza di questo dettaglio, so che si sta ragionando per esempio su una modifica dei contributi trattenuti dalle buste paga dei dipendenti. In generale questa situazione può essere l’occasione per ridurre finalmente il cuneo fiscale di cui in Italia si discute da anni, trovando una soluzione efficace, che non sia un colpo di cipria».
Veniamo alla situazione delle vaccinazioni a cui lei accennava prima: si può essere fiduciosi che tutto proceda verso la soluzione auspicata oppure bisogna preoccuparsi?
«Per quanto riguarda la mia esperienza personale, ribadisco che nel Lazio l’organizzazione è stata fin qui perfetta. Ci si prenota online, ci sono aree attrezzate in diverse zone di Roma, basta arrivare quindici minuti prima e si rimane sotto osservazione per altri quindici minuti, tutto in un contesto di cortesia e attenzione: sembra di essere in Svizzera. Insomma, se il sistema funzionerà così c’è davvero da essere ottimisti».
L’estate dovrebbe rasserenare gli animi come un anno fa. Ma che cosa succederà dopo?
«Dopo l’estate si punterà a raggiungere l’agognata immunità di gregge, così come mi ha confermato il ministro Gelmini domenica scorsa a Radio 24. Ma nel frattempo c’è bisogno di tornare alla normalità in tanti settori, a cominciare dalla scuola, dove solo tra qualche tempo sapremo valutare la portata dei danni che questa pandemia ha determinato. Non dimentichiamoci che gli studenti sono rimasti praticamente fermi, esclusi dalla didattica, praticamente per un anno, e chissà quali saranno le conseguenze. Mi aspetto che entro settembre il numero dei vaccinati sia tale da garantire una ripresa serena anche e soprattutto agli studenti, specie quelli delle superiori che hanno forse pagato maggiormente le conseguenze del Covid con il disagio che sappiamo, con l’aumento dell’uso di psicofarmaci e tante altre problematiche che sono emerse o che stanno emergendo. Non mi aspetto che tutto torni esattamente come prima, bisognerà essere maggiormente consapevoli imparando a convivere con il virus».
Si parla molto del ruolo delle donne in questa fase e per una reale rinascita: ma non bisognerebbe prima modificare un sistema essenzialmente maschilista?
«Mi auguro che sia ormai chiaro a tutti qual è stato nella storia e quale sia oggi il ruolo della donna. Mi auguro che lo abbia capito soprattutto chi gestisce l’economia, davanti alle tante storie di donne licenziate o che hanno dovuto chiudere le loro attività. Questa situazione tragica della pandemia rischia di impoverire ulteriormente anche le relazioni sociali. Deve essere chiaro che lo sviluppo ci può essere soltanto in una società dove le posizioni di uomini e donne siano paritarie. L’indipendenza economica della donna porterebbe a una società più moderna e giusta oltre a ridurre verosimilmente le premesse di molti femminicidi, quelle gabbie in cui certe donne sono costrette a restare per mancanza di altre possibilità. Se non c’è un riconoscimento di tutto questo, non può esserci crescita».
C’è un’economia, quella locale, che funziona bene, per esempio, nel Cuneese e che sa affrontare anche le sfide internazionali. L’Italia può continuare a fare leva su queste virtù?
«In Piemonte conosco bene la realtà di Alba dove l’esempio della Ferrero è molto importante. Le aziende di questo tipo non portano solo un forte contributo alla crescita economica del territorio, ma rappresentano anche un esempio di crescita culturale. Ancora una volta, di maggiore consapevolezza. Se c’è una cosa che questa pandemia, seppur dolorosamente, ha insegnato è che alla crisi non si può mai rispondere con l’improvvisazione. Eppure in questi anni molto spesso abbiamo pensato che davanti alla sfida del turismo, per esempio, fosse sufficiente l’entusiasmo di piccole realtà famigliari. Ma poi arriva una crisi come questa e tutto rischia di andare a carte quarantotto. L’Italia ha bisogno di rafforzare la sua rete di piccole e medie imprese, puntando sulla formazione, per renderla più solida e metterla al riparo da ogni sorpresa. Anche la risorsa del turismo rischia di non bastare se non c’è una base solida».