Federica Giusto, saluzzese di 33 anni, è una ballerina, in arte Red, cui hanno diagnosticato i disturbi dello spettro autistico all’età di 31 anni, dando così risposta a tanti suoi perché.
Federica, ha avuto problemi nell’approcciarsi al mondo?
«Da quando ne ho memoria, non mi sono mai sentita “al mio posto”. A 4 anni mi obbligavano a giocare in gruppo e io stavo male, mi piaceva giocare con gli altri solo se potevo coordinare io tutto o se si trattava di giochi creativi, legati alla danza e alla musica e senza troppo contatto fisico. Ho sempre avuto bisogno di “routine” e schemi ben definiti. La mia percezione sensoriale è sempre stata definita esagerata, ma per me era normale. All’opposto, talvolta, non percepivo alcuni stimoli. Mi hanno sempre detto che le mie emozioni erano “o troppo o niente”, a me sembravano così quelle degli altri. Mi sono sempre fissata su poche e determinate cose (la danza, il rosso, la cultura Hip Hop, Walt Disney e ora il discorso autismo) e l’ho sempre fatto con naturalezza e serenità».
Quali sono gli atteggiamenti reputati “strani”, ma che fanno parte del suo mondo?
«Ripeto suoni e parole, ne ho sempre avuto un bisogno pazzesco, un tempo spesso lo nascondevo e mi sfogavo da sola o con qualche persona fidata. La stessa cosa accade per alcuni movimenti ripetitivi che mi aiutano nell’autoregolazione sensoriale. A scuola era tutto troppo veloce e poco chiaro e la mia testa era sempre proiettata sulla danza, sul ripassare i passi e le date oppure ripassare gli elenchi delle date di uscita di alcuni film Disney o di brani musicali».
Cosa l’ha spinta a cercare una risposta a tutti i costi?
«Il fatto che la situazione psicologica fosse in costante peggioramento, tratto comune delle persone autistiche che non ricevono una diagnosi in infanzia. Le persone come me hanno la necessità di comprendere il funzionamento del proprio corpo e della propria mente per vivere bene».
Per quale motivo la sua diagnosi ha tardato così tanto?
«Purtroppo 33 anni fa non si sapeva che l’autismo fosse un funzionamento mentale. Detto questo, tutti avevano trovato in me qualcosa di particolare, ma veniva recepito nella maniera sbagliata».
Come “funziona” la sua mente?
«I “meltdown” (una manifestazione emotiva violenta e improvvisa, ndr) gli “shutdown” (una sorta di spegnimento, di blackout cerebrale, ndr) e il mutismo selettivo (momenti in cui non si riesce a parlare, ndr) li posso evitare se l’ambiente attorno a me è favorevole. Se le persone accanto non sono predisposte a comprendere questo, diventa difficile. La mia sensorialità non è come quella delle persone neurotipiche. Ma non è sbagliata. È diversa e bisogna conoscerla per avere equilibrio. La società però non è ancora pronta. Troppe persone autistiche si nascondono e soffrono perché devono soffocare dei meccanismi per loro naturali. E nasconderli ci fa andare in sovraccarico sensoriale e, di conseguenza, arrivano le crisi».
Cosa ha provato quando è arrivata la diagnosi?
«Ho provato un senso di sollievo infinito. Ho dato la risposta a tutto e soprattutto ho capito una cosa: io non ho niente di rotto, non mi mancano dei pezzi, sono soltanto una normale persona autistica! Tutto quello che gli altri mi facevano credere non fosse vero, nonostante lo provassi “sulla mia stessa pelle” e nella mia mente aveva un nome. Sapere di essere una persona autistica cancella tutte le etichette come “strana”, “Sbagliata”, “incapace”, “sfigata” e altro. La consapevolezza è qualcosa di meraviglioso».
Che messaggio le piacerebbe far arrivare alla gente, da attivista?
«Vorrei che si comprendesse perché è importante ascoltare le persone autistiche che vogliono e possono raccontarsi. Il racconto delle persone autistiche verbali, senza disabilità cognitiva e compromissioni è d’aiuto alle famiglie (e non solo) che hanno accanto una persona autistica che non può esprimersi. Osservare le persone autistiche da fuori comprende sempre il dover fare un paragone. Io (e tutti gli altri attivisti autistici) viviamo da dentro il funzionamento autistico. Anche se siamo tutte persone diverse tra persone autistiche, siamo in grado di descrivere cose che una persona neurotipica “da dentro” non vivrà mai, perché sotto alcuni aspetti, siamo proprio opposti tra neurotipici e autistici. Infatti io non potrò mai descrivere la percezione sensoriale delle persone neurotipiche, perché la descriverei paragonandola alla mia e quindi evidenziandone solo “mancanze” e differenze. Con l’informazione si potrà arrivare a un mondo paritario dove, in entrambi i casi si saprà come comportarsi per non fare del male all’altro.