«Noi in lockdown mentre gli altri stanno correndo»

Buttafuoco: «fuori dal mondo occidentale c’è più sviluppo» Lo scrittore e giornalista: «Per i vaccini stessa storia delle mascherine, prima non c’erano e ora sono in sovrapproduzione. Draghi? In Italia non è facile comandare. Speranza? Meglio Sileri, ma ha prevalso il Manuale Cencelli. La politica? Soppiantata dall’era dei Big Data, siamo in una fase di transizione. Mi manca il sorriso dei tanti amici che ho conosciuto nelle Langhe»

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Pietrangelo Butta­fuo­­co, come sta vi­vendo questa fase di per­sistente pandemia?
«Cerco di fare affidamento alla realtà, alla mia agenda di vita quotidiana. Ma pensare e vivere le normali relazioni in questo momento è operazione complicata perché non trova un fondamento nell’esistente, se non uno sbocco nella solitudine. Di fronte a un evento così inedito e inaudito, la storia insegna che ogni tragedia modifica prima di tutto le relazioni con gli altri. In questo caso ci spinge a vivere distanziati. Ma lo de­cide anche una certa volontà politica. Mentre l’Occi­dente è in lockdown, il resto del mondo ha ricominciato a vi­vere e segue la strada dello sviluppo».

Il modello Cina si è forse rivelato più efficace?
«Chi ha una visione più sbrigativa, esporta soluzioni più risolute. Noi abbiamo pencolato tra la paura del virus e quella per il vaccino».

Il vaccino rappresenta l’unica soluzione?
«Dipende anche dalla risposta a livello locale. Perché ri­cordo che l’anno scorso in Italia si parlava tanto della difficoltà di avere il numero necessario di mascherine men­tre ora è accaduta la stessa cosa con i vaccini. Nel frattempo, c’è stata una sovrapproduzione di mascherine, così come a breve accadrà per i vaccini: ce ne saranno oltre il necessario».
Come è stata, nel complesso, la risposta della politica ri­spetto al problema della pandemia?
«La politica andrebbe valutata nel contesto di uno stato so­vrano, ovvero quando è in gra­do di prendere una decisione e di procedere in quella direzione. Ma ora, in una vi­sione europea, emerge un senso di inadeguatezza da­vanti alla rappresentazione di una realtà “a scacchiera” do­ve la politica diventa più che altro argomento per politologi o forse, meglio ancora, per polemologi. Se questa infatti è praticamente una guerra, ci si deve occupare di argomenti legati all’emergenza. Di solito dopo una guerra si devono riaprire le scuole, ci sono ospedali inagibili, vincitori e vinti, insomma i danni causati dalla guerra. Di tutto questo si deve tenere conto».

La pandemia ha fatto emergere anche le difficoltà legate a una corretta e completa in­formazione: come è stata la comunicazione degli eventi?
«Secondo me ci sono state situazioni apertamente condizionate da una censura così evidente da creare shock. Ma in altri casi, abbiamo visto situazioni all’opposto. Se per esempio non diventassero notizia quattro casi di trombosi su 6 milioni di vaccinazioni, credo che sarebbe molto meglio: la scienza fa­rebbe il suo corso e non ci sarebbero situazioni capovolte in grado di alimentare la paura del vaccino».

Che cosa pensa delle polemiche che hanno travolto il ministro Speranza?

«Le vicende che conosciamo hanno portato alcuni politici a dover fronteggiare problemi troppo grandi per le loro capacità, qualcuno è diventato protagonista suo malgrado. Speranza è stato confermato nel ruolo per i meccanismi cencelliani che devono tenere conto degli equilibri politici nel­la distribuzione dei ruoli di Go­verno con l’avvento di Dra­ghi. Del re­sto, se Spe­ran­za è l’unica espres­sio­ne del suo par­ti­to, ov­ve­ro LeU, mi pare chia­ro che que­sto sia anche l’unico motivo dietro alla sua riconferma come ministro della Sanità. La logica avrebbe voluto che al suo posto ci fosse il suo vice Sileri, certamente più adeguato, ma questo avrebbe anche scombinato i piani».

Come giudica l’operato del premier Draghi fino a questo momento?
«Ci sono stati segnali che mi hanno lasciato perplesso. È anche vero che ha dovuto far fronte alla palude dei poteri romani e poi in Italia ci si deve inevitabilmente confrontare con la sinistra. Cam­biare non è facile, ma il potere per farlo ce l’avrebbe».

Come vede la situazione del­le prossime riaperture in alcune attività?
«Come si suol dire, siamo ai piedi di Pilato. In che senso? Che in alto c’è sempre qualcuno in grado di prendere decisioni e non è detto che siano favorevoli».

Cambiando invece discorso, im­magina che la tecnologia, sempre più presente nelle no­stre vite oggi, possa portare a un nuovo umanesimo digitale?

«Viviamo sicuramente una realtà di passaggio, così come avvenne quando la scrittura cambiò la storia del mondo. Anzi, ora siamo arrivati alla fase di transizione digitale e vedremo presto un risultato che sarà addirittura cento volte più importante di quanto accadde con la scrittura. Ari­stotele disse che l’uomo è un animale politico. Nel prossimo futuro l’uomo sarà soprattutto un generatore di dati. Anzi già adesso. La materia del nostro tempo è racchiusa nei Big Da­ta, su questa base si sta aprendo una nuova era».

Lei è siciliano e catanese. Questi discorsi sulla natura umana fanno venire in mente un intellettuale che conosce bene: Battiato.

«È molto di più che un cantante, molto più che un poeta. Non basta neanche definirlo protagonista della scena artistica. Il “corpus” della sua produzione è un lascito di valore inestimabile. Qualcosa che in definitiva lo definisce come l’autentico bardo del nostro tempo».

Conosce il territorio di IDEA? È mai stato nelle Langhe?
«Sì, la mia è una frequentazione antica. E anche un innesto che ha prodotto nuove amicizie. È una terra a me cara, rivivo il suo spirito nel sorriso della sua gente».

È stato spesso ospite di “Otto e Mezzo” e altrettanto spesso protagonista di discussioni animate in tv.
«Sì, ma non è quello il motivo per cui non mi vedete più lì, ora sono passato a Rete 4».

Nel futuro ha qualche nuova avventura giornalistica?

«Ma sa, sono stato sputacchiato dal giornalismo… E preferirei non espormi fuori dalla metafora, perché rischierei di fare la fine della volpe e l’uva. Dove io sono la volpe e il giornalismo è l’uva».