Guai a sottovalutare il percorso di questo Giro d’Italia numero 104: perché, anche se a prima vista mancano molte delle vette che ne hanno fatto la storia, le salite che propone il menù sono altrettanto impegnative e le insidie meglio distribuite lungo le tre settimane rispetto alle ultime edizioni.
Dell’apertura dal Piemonte sappiamo già tutto: gli 8,6 chilometri della cronometro di Torino stabiliranno la “griglia di partenza” da cui si allineeranno i pretendenti alla maglia rosa finale, mentre a Novara ci aspetta il primo show tra i velocisti e, a Canale, un testa a testa tiratissimo tra attaccanti e inseguitori. Lasciata la terra sabauda sarà già tempo del primo arrivo in salita, a Sestola, dove nel 2017 si impose un giovanissimo Giulio Ciccone, lo scalatore abruzzese che rappresenta la più grande speranza italiana per la classifica.
Giusto il tempo di una volata in riva all’Adriatico, a Cattolica, e la sesta tappa sarà ancora all’insù, con arrivo alle celeberrime Grotte di Frasassi, sopra Ascoli Piceno: una scalata inedita, lunga e da non sottovalutare. Ancora uno sprint sull’Adriatico, questa volta a Termoli, e la “corsa rosa” toccherà il suo punto più meridionale nella “Foggia-Guardia Sanframondi”: si tratta del terzo arrivo in salita, ma breve ed esplosiva, per cui non aspettiamoci grandi distacchi.
La carovana inizierà la risalita dello “Stivale” con un’altra tappa di montagna, corta ma molto delicata: in meno di 160 chilometri, infatti, i “girini” dovranno valicare quattro passi prima dell’arrampicata finale a Rocca di Cambio, già sede di arrivo in quattro occasioni, l’ultima delle quali, nel 2012, salutò il successo di Paolo Tiralongo. A questo punto saremo già al termine del secondo weekend di gara ma, ancora, non sarà tempo di tirare il fiato, perché il primo giorno di riposo verrà preceduto anche dalla 10a tappa, la brevissima “L’Aquila-Foligno” in cui, nonostante qualche saliscendi, l’epilogo dovrebbe essere a ranghi compatti.
E dopo la prima, sospirata, giornata di stacco, la “corsa rosa” raggiungerà la Toscana per una delle tappe più attese, quella delle “strade bianche” sulle colline del Chianti, che si concluderà a Montalcino proprio come l’epica frazione del 2010 vinta da Cadel Evans in maglia di campione del mondo e passata agli annali per lo spettacolo offerto dai corridori sotto la pioggia e nel fango. Tra i protagonisti (sfortunati) di quel giorno, anche un giovane Vincenzo Nibali partito in maglia rosa ma costretto, anche per una scivolata sullo sterrato, a cedere le insegne del primato al kazako Vinokourov.
La 12a tappa renderà omaggio a due grandi come Alfredo Martini e Gino Bartali, passando per le loro rispettive città (Sesto Fiorentino e Ponte a Ema), per poi concludersi dall’altra parte dell’Appennino, a Bagno di Romagna: tante, anche in questo caso, le salite, discreto pure il chilometraggio abbondantemente sopra i 200 chilometri. La successiva “Ravenna-Verona”, piatta come un biliardo, celebrerà invece il 700o anniversario della morte di Dante Alighieri, sepolto proprio nella città romagnola sede della partenza.
Sabato 22 maggio è il giorno del ritorno sullo Zoncolan, tre anni dopo il successo di Chris Froome. Ma attenzione, a differenza degli ultimi precedenti, per l’occasione si salirà dal versante di Sutrio affrontato solo nel 2003, al battesimo assoluto del “mostro”: parliamo dell’ultima vera esibizione di Pantani in salita, anche se la vittoria andò a Gilberto Simoni, già in maglia rosa e poi vincitore di quella edizione.
A questo punto saremo ormai nel vivo della corsa, perché se la 15a tappa (un ampio circuito attorno a Gorizia da ripetere tre volte, con diversi sconfinamenti in Slovenia) dirà poco in chiave vittoria finale, la successiva “Sacile-Cortina d’Ampezzo” è il più classico dei tapponi dolomitici, per quanto insolitamente posizionato di lunedì. In 212 chilometri sono previsti quattro gran premi della montagna, tutti di 1a categoria: la Crosetta subito in partenza, quindi il durissimo Passo Fedaia (la salita della Marmolada, che torna dopo ben 13 anni di assenza, anche questa cara a Pantani che vi si involò nel ’98, andando a vestire la prima maglia rosa della carriera), il Pordoi-Cima Coppi di questa edizione ed il Passo Giau (altra vetta tanto mitica quanto severa) prima della picchiata sulla città che ospiterà le Olimpiadi Invernali del 2026.
Goduto del secondo e, ahiloro, ultimo giorno di riposo, i corridori si rimetteranno in sella per un’altra giornata campale: l’arrivo in quota sulla durissima Sega di Ala, vetta che domina il Lago di Garda e che la “corsa rosa” affronta per la prima volta, ma che incoronò già Nibali vincitore del Giro del Trentino 2013, quando il siciliano diede un assaggio di quello che sarebbe stato il suo dominio, il mese seguente, al Giro.
Un ultimo contentino ai velocisti superstiti nella “Rovereto-Stradella”, ed eccoci al weekend finale: venerdì 28 maggio saremo di nuovo in Piemonte, per la “prima volta” dell’Alpe di Mera, in Valsesia, da affrontare dopo Mottarone e Passo della Colma. Sabato 29 l’ultima tappa di montagna, da Verbania all’Alpe di Motta, valicando anche il San Bernardino e lo Spluga. E se ancora dovessero esserci pochi secondi di differenza tra i primi della classifica, la maglia rosa sarà decisa nella cronometro conclusiva di Milano, lunga poco meno di 30 chilometri: la speranza, è quella di rivivere un altro finale al cardiopalma all’ombra del Duomo, come quello dello scorso ottobre tra Hindley e Geoghegan Hart. Magari con protagonista un corridore italiano: è difficile, certo, ma sognare non costa nulla.
Articolo a cura di Marco Gaviglio