Jacopo Mosca «Sogno una tappa al Giro»

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Jacopo Mosca è nato a Savigliano il 29 agosto 1993. Da “under 23”, nel 2016, le prime vittorie importanti: Circuito di Pinerolo, Circuito Castelnovese e Coppa Mobilio Ponsacco, quest’ultima una prova a cronometro, risultati che gli valsero uno stage a livello World Tour
in maglia Trek nell’ultima parte di stagione. Passato a tutti gli effetti professionista nel 2017 con la Wilier Triestina-Selle Italia, quello stesso anno ha conquistato una tappa e la classifica generale del Tour of Hainan. L’anno dopo si è imposto in una tappa del Tour of China e ha vinto la classifica a punti della Tirreno-Adriatico. Nel 2019 ha iniziato la stagione
con la D’Amico, a livello “Continental”, ritrovando il ciclismo di vertice dal mese di agosto, ancora una volta alla Trek, squadra in cui milita tutt’ora, al servizio di Vincenzo Nibali. Vanta due partecipazioni al Giro d’Italia, dove lo scorso anno ha chiuso al terzo posto la tappa di Asti e al nono quella di Rimini, e una alla Vuelta a España, nel 2019

 

Un passato su e giù dal palco, un presente alla corte di Vincenzo Nibali e un futuro ancora tutto da scrivere: è il profilo di Ja­co­po Mosca, 28 anni ad agosto, nato a Sa­vi­glia­­no anche se cresciuto ad Osasco, a due passi da Pinerolo. Non proprio l’“enfant du pays”, quindi, ma quasi.

Jacopo Mosca, quest’anno il Giro d’Italia parte praticamente da casa sua e il coraggio non le manca: la vedremo all’attacco già nella frazione di Canale?
«Se ci sarà un’occasione cercherò di sfruttarla ma, realisticamente, nei primi giorni è sempre molto difficile che la fuga abbia successo. Penso che le mie chances arriveranno più avanti, anche perché la priorità sarà proteggere i capitani. Ad ogni modo, conosco molto bene quelle strade perché da ragazzo ho corso per l’Esperia Piasco e spesso ci allenavamo in zona».

Qual è allora il suo pronostico per la tappa che si concluderà nel Roero?
«Noi cercheremo di portare allo sprint il nostro velocista, Matteo Moschetti, ma non sarà facile arrivare tutti assieme perché so che il muro di Guarene, che ho affrontato da “juniores” al Gp del Roero, farà male a molti. Penso sia un finale adatto a corridori veloci, sì, ma anche resistenti, come Peter Sagan».

Lei stesso, però, ultimamente non si tira indietro in caso di sprint, non è vero?
«Sì, quando ne ho l’opportunità ci provo, ma non mi considero assolutamente un velocista. Dico sempre che per vincere le volate bisogna essere uno sprinter vero, mentre per centrare un piazzamento basta avere la gamba ed essere… “stupidi”, avere cioè l’incoscienza che serve a gettarsi nella mischia e seguire le ruote più veloci della tua o, come si dice in gergo, saper “limare”. In questo modo, al Giro dell’anno scorso, ho fatto nono a Rimini».

Restando alla scorsa edizione, ad Asti ha addirittura sfiorato la vittoria. Che ricordi ha di quel giorno?
«La tappa in assoluto più anarchica di tutto il Giro. Eravamo alla fine della terza settimana, il giorno prima c’era stato il tappone dello Stelvio e io ero sfinito: mai avrei pensato di fare qualcosa quel giorno. Ma quando la frazione è stata dimezzata in seguito alle proteste per il chilometraggio eccessivo e il maltempo, sapevo che la fuga avrebbe avuto ottime occasioni di arrivare, perché il gruppo non l’avrebbe inseguita. Così sono stato tra i primi ad attaccare e nel gruppetto ero anche uno dei più veloci; purtroppo, però, Cerny e Campenaerts ci hanno presi in contropiede nel finale e la volata, che ho vinto, è valsa solo il terzo posto».

Come ha cominciato a correre?

«La bicicletta è sempre stata la mia passione, da piccolo non so quante rotelle ho sfasciato. Così, dai due anni e mezzo, ho fatto senza e a undici i miei genitori mi hanno iscritto alla squadra del paese. Da allora non ho più smesso».

Particolare è la sua storia da professionista, perché è stato uno dei pochi corridori a saper tornare nel ciclismo di vertice dopo esserne uscito. Ce la racconta?
«Alla fine del 2018, dopo due stagioni alla Wilier Triestina, sono rimasto senza contratto, nonostante tre vittorie in Cina e, soprattutto, la maglia arancione della classifica a punti alla Tirreno-Adriatico. Pensavo di meritarmi la riconferma, ma il team ha fatto altre scelte. È stato un momento bruttissimo; per fortuna, la mia famiglia mi è sempre stata vicina. E poi ho la testa dura: così nel 2019 ho accettato l’offerta di una piccola squadra “Con­tinental”, la D’Amico, perché per me era fondamentale continuare a gareggiare. L’occasione di rilanciarmi me l’ha data il Ct Cassani, convocandomi in Nazionale al Gp di Larciano e alla Coppi e Bartali, dove mi sono piazzato terzo in una tappa. Così, ad agosto, si è ricordato di me Luca Guer­cilena, team manager della Trek, con cui avevo già fatto uno stage tre anni prima e che aveva bisogno di rimpiazzare alcuni corridori infortunati. Dall’oggi al domani, mi sono trovato a correre la Vuelta a España senza più essere abituato a certi ritmi e a percorsi così duri: è stato un calvario, ma ne sono uscito trasformato e tutta quella fatica mi ha permesso di tornare competitivo».

Se ora potesse vincere una corsa, quale sceglierebbe?

«Senza dubbio una tappa al Giro, una qualsiasi».

Lontano dalla bicicletta, invece, quali sono le sue passioni?

«Tempo libero ne ho poco, ma adoro cucinare: torte, soprattutto. Ai tempi del liceo le portavo a scuola e direi che erano sempre molto apprezzate: potete chiedere ai miei compagni e professori dell’ultimo anno!».

Articolo a cura di Marco Gaviglio