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«Il mio primo singolo è figlio del lockdown»

L’esordio musicale della monregalese Anelie è stato accolto con favore

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C’è chi in una no­ta musicale ve­de solo un se­gno e chi un mon­­do. La monregalese An­na­lisa Fael­la, in arte Anelie, scorge nella musica un’opportunità per dire ciò che a parole non riesce a comunicare.

Quando è nata la sua passione per il mondo della musica?
«Il mio interesse per la musica è nato intorno ai 14 anni. Avendo nessuno in famiglia che potesse condividere con me questa passione e aiutarmi a scoprire questo mon­do, ho deciso di affidarmi a un’insegnante di canto e fare crescere così, pian piano, il de­siderio che portavo dentro».

Come ha coltivato il canto?
«Ho preso lezioni a Mondovì per circa un anno e mezzo. Poi, purtroppo, ho dovuto smettere perché non riuscivo a far combaciare gli orari. Di sicuro tornerò a prendere le­zioni: è molto importante a­vere una solida base per po­tersi esprimere al meglio; mi piacerebbe anche imparare a suonare qualche strumento».

Cosa prova mentre canta?
«È una cosa difficile da spiegare. Ho la sensazione di riuscire a trasformare i miei pensieri più intimi e personali attraverso il canto; cosa che non sono solita fare a voce. Ho da sempre avuto molta difficoltà a esporre le mie idee e a descrivere cosa provassi davvero in un determinato mo­mento. Proprio per questo, la musica per me è anche un’opportunità per comunicare».

C’è qualche artista che ha is­pirato il suo modo di cantare?
«Non ne ho uno in particolare. A me piace molto variare e cambiare genere, quindi non ho un artista solo come ispirazione. Cerco di prendere tut­to ciò che mi arriva da artisti differenti, a partire dal cantautorato italiano dei decenni passati per giungere fino alle nuove generazioni».

Come definirebbe la sua mu­si­ca?
«Musica leggera. Penso sia la giusta descrizione; mi piace molto pensare di condividere emozioni e stati d’animo, ma non mi precludo nessun ge­nere; mi piace sperimentare sempre cose nuove».

Pensa che nel mondo artistico ci sia meritocrazia?

«Penso che, non solo per quanto riguarda il mondo della musica, sia sempre in agguato il mancato riconoscimento dei meriti. Ma tutto ciò è piuttosto soggettivo, specialmente nel campo musicale, quindi preferisco non giudicare le scelte altrui e concentrarmi sulla mia strada».

Ha mai avuto modo di partecipare a un “talent” e sarebbe interessata a farlo?
«No, per il momento non ho partecipato a nessun “talent”, ma in futuro spero di poterlo fare, sarebbe un bel trampolino di lancio».

Qual è il tuo maggior pregio e il tuo peggior difetto?
«Direi che i miei maggiori pregi sono la sincerità e la trasparenza (che poi, in realtà, potrebbe anche essere un’arma a doppio taglio, ma io so­no sempre propensa a preferire una brutta verità a una bella bugia). Il peggior difetto, invece, è l’essere pa­recchio permalosa: spesso mi offendo per molto poco».

Come si vede tra dieci anni?
«Sul palco dell’Ariston… so­no ironica! Però, se dovessi fermarmi a riflettere, forse è proprio lì che mi piacerebbe trovarmi. D’altra parte tutti nella vita ti insegnano che bi­sogna sognare in grande, no?».

Quando ha scritto il suo pri­mo vero testo?

«La passione per il mondo della canzone, seppur molto viva in me, è sempre stata celata dalla timidezza e dalla paura del giudizio esterno, fino a quando, durante il “lockdown”, ho preso coraggio e, come si dice, “ ho fatto di necessità virtù”, utilizzando il tempo a casa per mettere nero su bianco i miei pensieri, dando così origine a una vera e propria canzone».

In che modo si è fatta conoscere dal mondo esterno?
«Subito dopo aver messo a punto la mia canzone, ho preso coraggio e l’ho condivisa sui “social” che, si sa, esprimono giudizi senza scrupoli. Ho deciso comunque di mettermi in gioco e, a sorpresa, ho ricevuto moltissimi complimenti».

Cosa pensa la sua famiglia di questa carriera agli albori?

«Sono i miei primi sostenitori: tutti i giorni mi danno la forza e il coraggio per inseguire il mio più grande sogno, senza farmi abbattere dalle vicissitudini che incontro lungo la strada».