«Festeggio i vent’anni dalla mia prima mostra alla chiesa Sant’Iffredo di Cherasco ma ho iniziato disegnando i primi fumetti alle medie, ispirandomi a Corrado Roi, il creatore di Dylan Dog». Così si racconta Mirko Andreoli, classe 1984, disegnatore e artista della “città delle paci”. A guardare i quadri nel suo studio si fatica a credere che quella precisione fotografica sia creata partendo da una matita e degli «sfumini usati per ammorbidire i toni e creare zone di grigio, perché« sono affascinato dal segno che scompare, dalla nettezza della luce bianca sulle campiture nere». Andreoli si muove con grazia dagli acquerelli ai fumetti, ma l’espressione che maggiormente esprime la sua essenza sono i disegni dall’ambientazione gotica che si fonde con audaci elementi simbolici e regala alle sue opere un effetto straniante, potente e ipnotico. Bambine in abito da Comunione e innocue foto di classe acquistano impreviste virate di registro grazie all’incursione di extraterrestri, busti animali e porte arcane, che popolano un mondo onirico, seducente e per niente rassicurante».
Perché le sue opere a matita sono così dense e complesse?
«Sono un amante delle culture antiche», confessa Andreoli, «e da decenni studio come alcuni temi si trovino in testi religiosi redatti nei millenni scorsi in parti opposte del mondo. Penso al mito del diluvio universale, all’albero della vita, alla pianta del frutto proibito. Se si analizzano a fondo si scopre che molti di questi miti sono confluiti, assemblati e rielaborati, nei successivi testi sacri giunti fino ai giorni nostri. Questi passaggi sono presenti nella mia mente e quindi nelle mie opere in una sorta di esoterismo interno, lontano dal magico, anzi, più vicino al rigore scientifico nella ricerca della verità».
I significati dei simboli presenti nei suoi quadri non sono di facile interpretazione, probabilmente non vengono compresi a fondo da tutti i fruitori. Questo la preoccupa?
«Il mistero è parte dei quadri stessi, apprezzo chi si interroga, ma un’opera d’arte non si deve spiegare. Più è reale e fotografico il risultato, più i particolari discordanti creano un efficace effetto di straniamento. Nel mio ritratto da piccolo, ad esempio, partendo da una foto ho poi inserito due stupende Cleopatre, in posa come guardiane di una porta. E sulla testa ho un’aureola dorata, antichissimo simbolo pagano del sole e della divinità, di cui si sono poi in seguito appropriati i cristiani. Anche qui il realismo si fonde con simbolismo e un filo di mistero».
Lei usa spesso anche l’acquerello, una tecnica apparentemente opposta ai toni scuri della matita. O è un pregiudizio?
«Sono due approcci molto diversi: nella matita si gioca su bianco e nero, con un effetto che può risultare cupo. L’acquerello invece è fresco, leggero, regala la trasparenza dell’acqua. Due anni feci una mostra in Pinacoteca Albertina, a Torino, organizzata dal mio professore Daniele Gay e da Marcella Pralormo, direttrice della Pinacoteca Giovanni e Mirella Agnelli, in cui erano presenti tutti i grandi di questa tecnica. Ad acquerello realizzo comunque soprattutto ritratti, come quello che feci per la principessa del Bahrein».
E i fumetti?
«I miei sono particolari, di non facile pubblicazione perché mi ispiro al regista David Linch, un visionario. Ho collaborato anche con la Bonelli, ma in questo mondo serve la velocità, io invece sono molto perfezionista. Oltre alla matita uso una tecnica complessa: con una spugnetta imbevuta di china compongo i grigi poi uso una lametta da barba per correggere. Mi piace il fumetto, ho creato delle favole nere: un “cappuccetto rosso” in chiave “noir” e un “Hansel e Gretel” in versione “horror”, in cui i buoni si dimostrano più malvagi dei cattivi».
Fino a ora abbiamo parlato del suo lato artistico ma lei nella vita quotidiana come è?
«Un po’ ossessionato dalle mitologie antiche, cerco un confronto con amici che condividono questa passione, studiosi, demonologi, teologi. Mi appassiona capire la traslazione di certi messaggi dovuti ad errate traduzioni, come è successo anche per alcuni testi della Bibbia. Potrei parlarne per ore. Nella mia tesi, parlando dell’opposizione bianco e nero, cito l’allora Cardinale Ratzinger: “La luce risplende dove il buio è fitto”. La mia ricerca è davvero a tutto tondo, per questo trovo stimolante ascoltare punti di vista molto diversi dal mio».