«Si prenda esempio dalla costanza dei vignaioli albesi»

Mentana: «Le notizie e l’Italia vanno gestite con cura» «Le “maratone”? Forse è la parte più facile del mio lavoro, che richiede bioritmi sempre alti. I giovani faticano a comprenderlo. Fiducioso per la ripresa? Non potrebbe essere altrimenti: con i 250 miliardi di euro in arrivo, si prospetta un nuovo boom economico»

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Sono le 12 di un venerdì qualunque. Qualunque per qua­si tutti, non per En­rico Mentana: da un mo­men­to all’altro, potrebbe trovarsi nel bel mezzo di una delle sue fa­migerate (e apprezzate) “ma­ra­tone”. Per fortuna della no­stra intervista lo troviamo in un momento di relax. È a ca­sa, appena rientrato da una passeggiata con i propri cani.

Mentana, per noi albesi la do­­­­­manda è d’obbligo: i suoi ca­­­­­­­­ni hanno fiuto per il tartufo bianco d’Alba?

«Non saprei dirglielo, qui a Roma non ho occasione di metterli alla prova… (ride, nda)».

Non li ha mai portati con lei in Piemonte?
«No. In occasione di quei viag­­gi preferisco lasciarli a ca­sa. Quando mi reco a visitare le vostre colline, che conosco bene e apprezzo mol­to, mi concentro sulle ec­cel­­lenze enogastronomiche!».

Celata, il suo fidato cronista, si perderebbe nelle Langhe?
«Di sicuro! (ride, nda) Già si è lasciato disorientare da un rave party organizzato dai romanisti per festeggiare l’arrivo di Mourinho…».

Già, Mourinho… Da interista che effetto le fa vederlo alla Roma?
«Sono contento per lui e la Roma. Fa parte della storia del­­­l’Inter, ma non si vive di nostalgia né di ricordi, per quanto possano essere belli… Quelli legati a lui, in effetti, sono straordinari. E, comunque, la storia del calcio è fatta di “passaggi”, basti pensare ad An­tonio Conte».

Saranno animati i pranzi di famiglia, visto che suo fratello Vittorio, ex responsabile del­­la co­mu­nicazione del Mi­lan, è tifoso rossonero…
«Ha un anno in meno di me e vedendo il fratello maggiore tifare Inter, per poter affermare la propria individualità ha optato per l’opposto… (ride, nda). Battute a parte, il sentimento di fratellanza e solidarietà che unisce tra loro gli ap­passionati di calcio è il valore aggiunto di questo sport».

È stato vostro padre, il giornalista sportivo Franco Men­tana, a trasmettervi la pas­sio­ne per calcio e notizie?
«Per quanto riguarda il calcio non direi: siamo cresciuti in un’epoca in cui il calcio era quasi più seguito di oggi. Ne­gli anni ’60 non c’era bambino che non collezionasse le figurine dei calciatori… Sul fron­te professionale, il fatto che nostro padre fosse giornalista ha probabilmente influito sulle nostre scelte».

A poco più di vent’anni l’e­sor­dio in Rai. Era pronto?
«Non è una questione di età. Contano preparazione, pas­sio­­ne ed entusiasmo. Ammet­to, però, che quella che ho avuto è sta­ta una grandissima opportunità. Non capita a tut­ti…».

Nemmeno di essere chiamati, poco più che trentenni, a cre­a­re e guidare il telegiornale alternativo al Tg1…

«Confermo: il Tg5 è stata l’occasione della vita. Mi hanno scelto per costruire un tg dal nulla. E non un tg qualsiasi, ma il principale competitor del Tg1. È stato sicuramente, per me, un grosso colpo di fortuna; ho colto l’occasione dando il meglio di me stesso in ogni attività, dalla creazione della squadra all’introduzione di servizi all’epoca innovativi, quali il tg online e le trasmissioni a tema. Poi è ar­rivato “Matrix”: una nuova sfida che mi ha portato a confrontarmi con la conduzione di un programma dedicato al­l’approfondimento. Una no­vità assoluta per me».

Con Me­dia­set, però, non finì benissimo: le sue dimissioni dovute alla mancata riprogrammazione del palinsesto dopo la morte di Eluana En­glaro hanno fatto scuola.
«La verità è che ai margini dei grandi fatti storici succedono sempre tante piccole cose. La terribile vicenda Englaro, che sconvolse l’opinione pub­­bli­ca, ha una portata im­mensa, nemmeno lontanamente pa­ragonabile al fatto per­sonale che mi ha riguardato».

Quella volta si diede la priorità al “Grande Fratello”, che oggi con­­tinua a essere una tra­smis­­­sione molto seguita. Co­sa ne pensa?
«In senso assoluto, non mi dà fa­stidio che esistano programmi televisivi del genere, se è quello che vuole chiedermi. Nel­l’epoca del­la tivù “on de­mand”, è l’u­ten­te a sce­­­­gliere cosa, co­me e quando guardare».

Le sue “maratone” con il Tg La7, intanto, vengono scelte da sempre più persone…
«La “maratona” è forse la cosa più facile da fare. È l’attività giornalistica in sé, nel quotidiano, a richiedere uno sforzo notevole. Bisogna avere i bioritmi alti e non essere svogliati. Mai. Non siamo dei pittori che, tra un quadro e l’altro, pos­sono permettersi di posare il pennello per qualche istante. Il giornalista deve sem­pre essere sul pezzo, con costanza, un po’ come fanno i vostri vignaioli con le loro viti. I giovani, purtroppo, faticano a comprenderlo».

A proposito di giovani, è soddisfatto di come stanno portando avanti Open?
«Non ho fondato quel portale per fare una rivoluzione, ben­sì per saldare un debito nei con­fronti, soprattutto, dei giovani di oggi, visto che io sono stato molto più fortunato di loro. Averne assunti 25 significa che l’obiettivo primario è stato centrato. A ciò si aggiunge la sod­disfazione per i consensi crescenti che sta incontrando la testata, sempre più dif­fusa e fruibile da ogni piattaforma. Sono fiducioso».

È fiducioso anche per il futuro del nostro Paese?

«Come non esserlo? Ci sono i vaccini e l’Italia sta per essere inondata da 250 miliardi di euro. Chi ha pagato il prezzo più alto della pandemia va an­cora aiutato, ma sono sicuro che, se tutto andrà per il ver­­­so giusto, tra fine primavera e inizio estate anche i settori oggi maggiormente in difficoltà vi­­vranno un boom significativo, più utile di qualsiasi ristoro».