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«Il mondo della disabilità richiede molto tempo»

Silvana Bianco del Consorzio Monviso Solidale tira le somme a un anno dall’inizio della pandemia

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A partire dal 1993 nel Con­­sorzio Monviso So­lidale e da più di vent’anni referente per la disabilità a Saluzzo, Silvana Bianco si occupa di un mondo che, tra i tanti colpiti dalla pandemia, forse ha dovuto subire una delle quote maggiori di sofferenza. Il Con­sorzio Monviso Solidale è una realtà ampia e variegata, diffusa su molti comuni del Saluzzese, Savi­glianese e Fossanese e con tante aree di competenza. L’obiettivo, a livello generale, rimane sempre quello di «prendersi carico del disagio sociale», cercando di alleviare e aiutare le tante situazioni difficili che anche il nostro territorio presenta, tenendo aperta una finestra su un mondo ricco, nella sua complessità, di umanità, ricchezza e sogni. E che oggi, a un anno dallo scoppio della pandemia, reclama in maniera mite e silenziosa una maggiore attenzione, per far sì che, come diceva don Milani non si facciano, ancora una volta, “parti uguali tra diseguali”.

Dottoressa Bianco, di che cosa si occupa concretamente come referente per la disabilità a Saluzzo?
«Coordino tutte le attività del Consorzio riferite alle persone con disabilità (sono 485 nel saluzzese quelle da noi prese in carico), che comprendono, naturalmente, anche le famiglie. Non dimentichiamo mai, infatti, che dietro a una disabilità ci sono genitori, parenti e affetti che spesso devono essere supportati, soprattutto laddove, legittimamente, manchino le competenze. Per i casi più gravi cerchiamo di mettere a disposizione centri diurni, realtà di incontro e di aiuto; dove invece il caso è più lieve tentiamo di offrire risposte individuali o a piccoli gruppi, non dimenticando mai un bisogno fondamentale».

Quale?

«La socializzazione. Molto spesso la necessità per queste persone di legarsi e di relazionarsi con degli amici al di fuori dei rapporti mantenuti in ambito scolastico o familiare viene trascurato, limitandosi a un approccio di supporto slegato dalle dinamiche sociali. È davvero importante, invece, riuscire a organizzare il tempo libero, creare una dimensione in cui si è certamente accompagnati ma sia anche possibile sviluppare una parziale autonomia. È in questo senso che va un’altra iniziativa, particolarmente importante, basata su case-famiglia e appartamenti dove il disabile, quando possibile, si può staccare per brevi periodi dal nucleo familiare. Ricordo, infine, la possibilità di progettare con il nostro supporto percorsi di vita personale e autonoma, grazie anche al contributo degli assistenti personali».

Per rendere efficaci queste ottime iniziative serve avere alle spalle, un territorio inclusivo e attento alle esigenze dei più fragili. Qual è la sua opinione in questo senso sul saluzzese?

«Non manca sicuramente la volontà e l’apertura, come dimostrato anche dagli inserimenti in ambito lavorativo e sociale: la nostra zona ha dato risposte positive. Pur constatando una certa carenza di spazi e di strutture, non riscontriamo negli ultimi anni esperienze di esclusione; non dimentichiamo, però, che il saluzzese è un’area ampia, che raccoglie almeno tre vallate e si differenzia tra piccoli paesi e città. Insomma, ci sono esigenze diverse e mentalità differenti e, come sempre, c’è ancora molto da fare».

E dal punto di vista legislativo, invece, come reputa il quadro normativo italiano in materia di disabilità? Siamo avanti in questo campo?

«Non mi sento di dire che siamo indietro. Il problema, tipicamente italiano e non solo legato a questo ambito, è che molto spesso le leggi esistono ma vengono applicate solo in maniera parziale. Pensiamo alla scuola, dove il legislatore ha previsto ampi e dettagliati piani di inclusione nelle classi talvolta non del tutto applicati, senza contare il frequente cambio di docenti dovuti alla precarietà. C’è però da fare una riflessione di fondo, di sistema: il mondo della disabilità non può essere parametrato con logiche di produzione, sul tempo breve; non ha senso parlare di progetti annuali o triennali perché queste sono realtà che maturano sul lungo periodo e che possono ottenere buoni risultati, ma richiedono riflessioni in un tempo dilatato».

Il tempo sembra essersi dilatato anche dallo scoppio della pandemia. Quanto siete stati toccati dagli eventi drammatici dell’ultimo anno?

«Il Covid ha influenzato tutte le aree dove era presente del disagio. Il Consorzio, nel rispetto delle norme sanitarie, ha cercato di facilitare l’accesso ai servizi, ma molte famiglie avevano paura a esporsi. Abbiamo tentato di organizzare strutture residenziali e di offrire sostegno anche in versione telematica ma purtroppo alcune opportunità sono state sospese. Eppure, con molte difficoltà, abbiamo cercato di continuare a dare risposte».

BaNNER
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