Ogni appassionato di bicicletta, da quello amatoriale al più professionale, vi potrà raccontare storie magnifiche. Storie epiche di forza di volontà, di caparbietà, con picchi di lucida follia. Di obiettivi che si modificano in una continua ricerca del miglioramento. Di altimetrie da sconfiggere, di percorsi leggendari. Di lotte contro sé stessi, per rubare anche solo una frazione di secondo al cronometro. E via, sino all’elevazione della soglia dei limiti umani. Elementi che nell’ultraciclismo, specialità che prevede l’impegno su lunghissime distanze, pedalando senza sosta giorno e notte, raggiungono l’apice più elevato. Questa voglia di sfida, di conoscere i propri limiti per cercare di superarli in un costante processo di miglioramento ben si incarna in Water Tortoroglio, uno dei protagonisti della Race Across Italy, la più nota competizione di ultracycling in Italia, andata in scena nei giorni scorsi tra Adriatico e Tirreno.
Tortoroglio, come è arrivato all’ultracycling?
«Lo scorso anno le uniche manifestazioni sportive consentite erano quelle di ultraciclismo, perché non c’è contatto, le partenze dei concorrenti avvengono ogni due minuti e non si può stare in scia degli avversari. Il consiglio di provare è arrivato dal mio preparatore, Massimo Bechis: lui aveva già seguito Marcello Luca, uno dei principali interpreti dell’ultracycling in Italia».
La sua prima esperienza?
«Alla Ultra Apuane, uno dei circuiti più “corti” con i suoi “soli” 350 chilometri: terzo posto e umore a mille. Al che, con Bechis, ci siamo detti: perché non provare la Race Across Italy? Ci ho pensato un attimo: ho una moglie, una figlia, un’attività… Mi serviva un programma di allenamento speciale e me lo hanno ritagliato su misura».
Ce ne parli.
«La preparazione è iniziata a settembre. La settimana tipo prevedeva tre allenamenti il mercoledì, con tratti di 50 chilometri alle 5 del mattino, in pausa pranzo e in serata; 100 chilometri in un “colpo solo” in pausa pranzo il giovedì; recupero attivo il venerdì; il sabato, un’ora a cronometro “a tutta”. Nel weekend il “lungo”: sono partito da un giro di 80 chilometri e sono arrivato fino a 300. Percorsi maggiori avrebbero complicato troppo il recupero».
Arriviamo alla gara.
«Alla conclusione il mio computer di bordo segnava 796 chilometri percorsi, per 10.660 metri di dislivello. Ho impiegato in tutto 31 ore e 7 minuti, con un’ora e 20 di pausa per cambiare mezzo e abbigliamento».
Cambi obbligati?
«Le temperature passavano dai 3 ai 32 gradi: di giorno viaggiavo vestito leggero, di notte mi coprivo. Per quanto riguarda il mezzo, invece, ne avevo due in dotazione: una bici più leggera per i tratti di Appennino, una più aerodinamica per la pianura».
Punto focale per chiunque faccia sport, ancor più in questo caso: l’alimentazione?
«Sono seguito da un anno da un nutrizionista, Alessandra Remmert. Abbiamo fatto un sacco di prove per arrivare allo schema “da gara”: ogni 40 minuti mangiavo panini al latte, con prosciutto cotto e mascarpone. A un certo punto ho avuto problemi di stomaco. L’istinto era di non mangiare, ma sarebbe stato sbagliatissimo. Così ho provato le meringhe col mascarpone spalmato. Efficaci… e pure buone!».
Momenti di crisi?
«Alla 24esima ora ho avuto una crisi di sonno micidiale. La testa mi girava. Bechis mi ha tirato giù dalla bici: “Scendi e dormi, tra 10 minuti ti chiamo”, mi ha detto. Mi sono addormentato come un sasso. Dopo 10 minuti mi ha risvegliato, mi ha rifilato un tazzone di caffè e sono ripartito alla grande. Non mi sembrava vero!»
Ma quanto conta la “testa”?
«Nell’ultracycling serve resistenza più che forza esplosiva o velocità. L’allenamento ti copre i due terzi di gara, il resto è solo testa».
È soddisfatto del risultato?
«Il livello era molto alto: in ballo c’era anche il titolo di campione europeo. Sono arrivato all’ottavo posto della mia categoria. Ma il nostro obiettivo era quello di arrivare in fondo, e lo abbiamo centrato».
Parla al plurale…
«Sì, perché anche se questo è uno sport individuale non ce l’avrei mai fatta senza la mia “squadra” al seguito. La “crew” che mi ha seguito su un furgone camperizzato: assieme a Bechis, mia moglie Chiara e mio cognato Renzo. Mi preparavano le tisane calde di notte, mi passavano il caffè dal finestrino. Sono stati fondamentali nel momento della crisi».
Ha già fissato i prossimi traguardi da raggiungere?
«Ho ottenuto il gettone per partecipare alla Race Across America. Vorrei però provare una gara ultra a tempo, la 24 ore del Montello, il 31 luglio: è un circuito di 33 chilometri da ripetere più volte. Valuteremo la differenza tra le specialità e quella su cui puntare».
Ma… meglio la moto o la bici?
«Amo entrambe. Dal punto di vista delle gare sono due ambiti molto diversi, anche se la sensazione della velocità in discesa è simile. Ma il punto importante che le accomuna è la voglia di sfida. Quella non deve mai mancare».