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«Le nostre montagne sono un esempio di resistenza»

Alessandro Ottenga illustra i tanti progetti che la Fondazione Nuto Revelli di Cuneo ha messo in campo per far rivivere borgata Paraloup, nel comune di Rittana

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C’è un posto, ab­barbicato tra le montagne del­­la provincia di Cuneo, che per molti anni è stato dimenticato, ridotto a un insieme di ruderi, foglie e rovi. Da tredici anni a questa parte quel luogo è tornato a nuova vita, recuperato, ricostruito, nei suoi aspetti più concreti come in quelli valoriali. A Paraloup (“al riparo dai lupi”, in occitano), borgata a 1.360 metri di altezza in Valle Stura, nel comune di Rit­tana, si è scritto un pezzo di storia della Resistenza du­ran­te la Seconda Guerra Mon­diale: in quel borgo fu costituito il primo gruppo partigiano di “Giustizia e Libertà” del Cu­neese, fecero base e combatterono Nuto Revelli, Duc­cio Galimberti, Dante Livio Bian­co e Giorgio Bocca, la “meglio gioventù” della Gran­da che dopo l’8 settembre 1943 scelse di non aderire al fascismo di Salò e di lottare per la libertà del Paese. Quel­le baite sono state una fucina di libertà e oggi, grazie al progetto attuato dalla Fonda­zio­ne Nuto Revelli di Cuneo, è possibile tornare a vivere la borgata che, da alcuni anni a que­sta parte, macina progetti e idee, anche grazie al contributo del direttore di Impresa Sociale Paraloup, Alessandro Ottenga.

Direttore Ottenga, in che mo­do la Fondazione Revelli ha progettato il recupero di borgata Paraloup?

«Dal 2008 la Fondazione ha acquisito i ruderi, dando il via al percorso di rifondazione del luogo. Nel corso degli ultimi anni, sono state realizzate diverse strutture: il Museo dei Racconti, in cui raccontiamo “Le stagioni di Paraloup”, individuando quattro fasi a partire da fine ’800 e mo­strando l’evoluzione di tale spazio nel corso del tem­po; il teatro all’aperto, sorto nel 2018, che si affaccia in ma­niera spettacolare su Cu­neo e Borgo San Dal­maz­zo, attraverso cui cerchiamo di testimoniare la “resi­sten­za” della montagna; uno spazio polifunzionale dedicato a corsi e laboratori (proprio in questo periodo si sta svolgendo un seminario dedicato agli operatori museali della provincia di Cuneo); e, infine, gli ambienti dedicati al ristoro. Insomma, l’idea è stata quel­la di creare e mettere in evidenza, insieme al lato prettamente storico, la di­mensione tipica del centro culturale».

Qual è l’obiettivo di questo progetto?

«Mettere al centro questo territorio, in tutte le sue anime e la sua natura com­posita; un territorio che lega sicuramente il suo no­­­me alla Resi­sten­za partigiana, ma che prima di tutto va collocato nella prospettiva della montagna. Qui cerchiamo di sovvertire un’idea di sviluppo di matrice esclusivamente economica, utilizzando quattro “p”, quattro direttrici fondamentali: presidio, ovvero vivere stabilmente qui; paesaggio, cioè prendersi cura di un territorio che per conformazione risulta difficilmente ac­cessibile e di non facile ge­stione; prossimità, che ci spin­ge a lavorare a stretto con­tatto con la comunità e la zona; provocazione: utilizzare le arti per provare a riflettere sulla nostra realtà».

Ha la sensazione che si stia tornando a riprendere contatto con questi luoghi?

«Ciò succederà, ma dobbiamo capire bene che cosa si intende quando parliamo di vita in montagna. Oggi assistiamo, a causa della pandemia, a un ab­bandono delle città e alla ri­cerca di aree isolate. Ma capire la montagna non vuol dire traslare le abitudini e le logiche della città in un altro luo­go; vuol dire, al contrario, la­vorare sulle capacità trasformative, di contaminazione, che tali ambienti pos­sono offrire. Proprio come ac­cadde tra il 1943 e il 1944, quan­do circa 200 persone scelsero questa vallata, geo­gra­fica­men­­te strategica, per cambiare un paradigma, quello dell’Italia del ventennio».

A 75 anni di distanza ha ancora senso parlare di antifascismo?
«Guardi, noi abbiamo creato una serie di incontri proprio qui in un percorso tematico dal titolo “Al riparo dai lupi”. È necessario continuare a riflettere sull’antifascismo in un’ottica di contaminazione, percorrendo altre strade e scegliendo nuovi approcci, da cercare salendo quassù, in posti come questo. Perché certo, quel pericolo della pri­­ma metà del secolo scorso non c’è più, ma sicuramente ci sono altri “lupi” in circolazione…».