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«Mattia ha saputo toccare il cuore di tutti»

Laura Fucheri spiega come il suo secondogenito sia stato (e sia tutt’ora) capace di doni preziosi

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«Ho sempre pensato che nessuno muore dav­vero sino a quando non scompare l’ultima persona che lo ricorda. E noi stiamo diffondendo il ricordo di Mattia in una marea di persone. In questo modo il mio Mattia non morirà mai». Partire dal messaggio di speranza della mamma, Laura Fulcheri, per parlare di Mattia Sartori, il piccolo roretese mancato a quattro anni per una complicanza in seguito a un delicato intervento al cuore, è il miglior modo per continuare a credere che “l’amore sia sempre più forte della morte e per scegliere la vita, per sé e per gli altri”, come ha ben sintetizzato don Filippo Torterolo, parroco di Cherasco. Una scelta di amore che, nel caso di Mattia, si è concretizzata anche in una raccolta fondi (di cui parliamo nel box a lato, ndr) e nella donazione degli organi. Tema da cui prende avvio la chiacchierata con Laura Fulcheri.

Laura, come siete arrivati alla decisione di donare gli organi?

«Siamo partiti dalla consapevolezza che Mattia, se avesse potuto comprendere l’importanza della cosa, non avrebbe esitato a dire di sì: era molto altruista. Da quando è nato, sono stati numerosi i ricoveri e le visite al Regina Margherita di Torino e in quelle circostanze abbiamo visto da vicino bambini e genitori alle prese con situazioni ancora più difficili della nostra».

Eravate pronti a questo passo?
«In questi 5 anni mai abbiamo pensato a cosa avremmo fatto nel caso in cui si fosse presentata l’eventualità, ma quando il personale sanitario ha chiesto il consenso per l’espianto, io e mio marito non ci siamo nemmeno guardati: abbiamo detto “sì” all’unisono. Non tutti gli organi erano utilizzabili, ma una valvola del cuore e le cornee sì. Ci siamo detti: “se Mattia può salvare qualche bambino, facciamolo”. Lui ne sarebbe stato contento. In quel momento ci è sembrato un passaggio naturale, mentre prima no. Mio marito era impressionato anche solo dall’idea di un prelievo di sangue… Ma quando constati con mano tanta sofferenza, la donazione sembra l’ultima e l’unica cosa da fare per rendere omaggio a questo cucciolino che in neanche cinque anni di vita ha toccato il cuore di tutti quelli che lo hanno conosciuto. Aveva un sorriso contagioso, e chi lo ha incontrato, ne ha ricevuto una parte. Portava il sole anche in ospedale, dove, diceva lui, c’erano “i medici che mi fanno il solletico”».

Sono stati cinque anni di sofferenza, per lui e per voi?
«Non sono stati cinque anni di sofferenza fisica; a vederlo, non si sarebbe detto che aveva notevoli problemi di salute. In un certo senso, la sua energia ci illudeva. Certo: i ricoveri e le visite erano frequenti e aveva già subito altri due interventi cardiochirurgici, però a casa vivevamo una vita normalissima, serenissima, in cui, bisogna ammetterlo, Mattia non conosceva il significato della parola “no”».

Quando avete saputo delle patologie congenite di Mattia?
«Appena nato ci hanno detto che difficilmente sarebbe arrivato a 3 anni di vita, ma l’ultimo intervento, nel 2018, gli ha dato sprint, e gli ultimi due anni li ha vissuti al massimo. Sono stati mesi meravigliosi, in cui è migliorato tanto, dopo un primo anno e mezzo più in sofferenza. Con Mattia siamo andati al mare, ha potuto vivere un po’ la montagna, correre nei prati. Per un po’ è andato all’asilo, sino a febbraio dell’anno scorso».

Come si riesce a convivere con l’idea che tutto possa finire da un momento all’altro?

«È un’eventualità che in cuor mio sapevo esistere, ma che nella mia mente rimuovevo. Non è stato un fulmine a ciel sereno, ma non ci avevo mai pensato davvero. Dicevo: “andiamo avanti, passo dopo passo”. Non vivevo ogni giorno come se fosse ultimo, mi ripetevo: “abbiamo tante cose da fare insieme, un po’ per volta le facciamo tutte”. Quando, dopo l’ultimo in­tervento, abbiamo capito che lo stavamo perdendo, il dolore è stato immenso, ma non c’era rimpianto. Tutto quello che potevamo fare, nel limite delle sue condizioni, lo avevamo fatto».

Come avete affrontato l’ultima operazione?
«C’era apprensione. Le operazioni precedenti erano andate a toccare i rami polmonari; questa, invece, era a cuore aperto con una circolazione extracorporea, cosa che presenta rischi anche su pazienti senza altre patologie. Il pericolo era concreto, ma Mattia non poteva restare in quella condizione, perché sarebbe stato solo un prolungare l’attesa di qualche settimana o mese. Intanto se si fossero chiusi gli shunt di collegamento tra le arterie e i rami polmonari, non avrebbe ricevuto più aria e sarebbe andato in sofferenza. Invece, dopo tre giorni dall’intervento si è risvegliato e mi ha detto “ti voglio bene”. È un ricordo meraviglioso. Il sorriso affaticato con cui me lo ha detto ce l’ho stampato nel cuore, era il suo modo per manifestarmi la riconoscenza per trovarmi al suo fianco in quel momento. Anche dopo l’ischemia era sereno, perché non aveva sofferto, anche se era intubato. Abbiamo nella mente il ricordo del suo viso sereno. Per noi è una consolazione».

A vederla e a sentire come la compostezza e la lucidità con cui parla, viene da pensare che il dono degli organi non sia stato l’unico regalo fatto da Mattia…
«Aveva quella scintilla in più, quel luccichio negli occhi che normalmente non c’è in chi è sano. Come persona cambi nel momento in cui diventi genitore, perché assumi una consapevolezza diversa e cresci, però Mattia ci ha cambiati in una maniera più profonda. Eravamo, sia io che mio marito, piuttosto egoisti. Il 21 luglio 2016 abbiamo iniziato un percorso che stiamo maturando all’ennesima potenza. e che senza di lui non sarebbe stato possibile».

Suo figlio maggiore come ha vissuto questi anni?
«Marco ha sviluppato una grande sensibilità. Lui faceva la sua vita piena di attività, come l’andare a scuola, giocare a basket, prendere lezioni di chitarra… Tutte cose che Mattia non aveva ancora l’età per fare. Per questo non c’è stata mai grande gelosia tra di loro, anzi… Marco ha sempre dimostrato una premura pazzesca nei confronti del fratello. È voluto venire anche in camera ardente. A un certo punto ci ha chiesto di poter stare da solo con il fratello: gli ha portato il suo cappellino preferito e la macchinina con cui giocava sempre e gli ha parlato per qualche minuto con dolcezza».

L’auspicio è che la raccolta fondi possa servire anche a voi, come famiglia, dandovi un conforto e in impegno…
«La raccolta fondi mi sta dando tanta forza e mi impegna notevolmente, anche solo per manifestare la gratitudine a chi dà il proprio contributo e a chi condivide sui social l’appello. Da qualche giorno Marco ha ricominciato ad andare a scuola e mio marito a lavorare. Io mi sveglio e mi impongo di non star da sola in una casa che, senza Mattia, è vuota, silenziosa e ordinata. Certo, quando dovrò tornare a una qualche routine sarà difficile per me, forse più di quanto non lo sia già stato. Intanto, però, mi consolo pensando che tra poche settimane finirà l’anno scolastico e avrò Marco con me tutto il giorno. Mi ripeterò quello che dicevo con Mattia: “abbiamo tante cose da fare insieme, un po’ per volta le facciamo tutte”».