Prosegue l’approfondimento della Rivista IDEA sui relatori di TEDx Cuneo, l’evento, organizzato sabato 15 maggio in diretta streaming dall’Auditorium “Foro Boario” del capoluogo cuneese. Tra gli otto relatori che si sono susseguiti sul palco, anche Valentina Porcellana, PhD in Antropologia della Complessità, e ricercatrice confermata nel settore M-dea/01 (discipline demoetnoantropologiche) con abilitazione a professoressa di seconda fascia presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università della Valle d’Aosta, dove si è trasferita nel 2020 dopo aver prestato servizio dal 2008 al Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino; insegna Antropologia Alpina e Antropologia del Welfare.
Com’è nata la passione per l’antropologia?
«L’incontro con l’antropologia è avvenuto piuttosto tardi. Gli studi di linguistica che avevo intrapreso non mi bastavano: analizzare le parole in quanto tali o studiare le lingue nella loro struttura non mi appassionava tanto quanto ascoltare le storie delle persone e capire, anche attraverso la lingua che parlavano, come concepivano il mondo».
Cosa significa essere antropologa nel 2021?
«Fare antropologia non è facile, in qualsiasi contesto si scelga di lavorare. Ritengo che sia ancora più sfidante se la si intende come uno strumento a servizio del cambiamento culturale, un metodo attraverso il quale accompagnare processi dinamici e complessi con finalità trasformative».
Che tipo di antropologa è lei?
«Io mi definisco, scherzosamente, con un’espressione coniata per se stesso da Pier Paolo Viazzo, “antropologa d’acqua dolce”. Lo dico perché, proprio come Viazzo, ho sempre prediletto campi di ricerca vicini a casa, ma non per questo meno complessi. Analizzare ciò che ci appare familiare non è semplice, proprio perché si rischia di sottovalutare ciò che ci circonda, di darlo per scontato o di essere troppo implicati nell’ambiente e nelle relazioni per riuscire a osservarlo con la “giusta distanza”, anche emotiva».
Dalle montagne alla metropoli, il suo impegno è svariato…
«Sì, nel 2009 si è avviata la collaborazione, ormai ultra decennale, con Cristian Campagnaro, designer e architetto del Politecnico di Torino. Insieme abbiamo iniziato a interrogarci su come migliorare gli spazi di accoglienza per persone senza dimora progettando e realizzando progetti insieme ai nostri studenti, agli ospiti delle strutture, agli operatori sociali in diverse città italiane. Nel 2014, insieme al Comune di Torino e ad altri enti pubblici e del privato sociale, abbiamo dato vita al Laboratorio permanente “Costruire bellezza”, tutt’ora attivo. Grazie a questa esperienza, umanamente e professionalmente importante, abbiamo compreso come il concetto di bellezza passasse dal prendersi cura gli uni degli altri».
In cosa consiste “Montagne in movimento”?
«“Montagne in Movimento” è un gruppo di ricerca-azione che fa dell’antropologia applicata in montagna uno strumento per studiare, coinvolgere e accompagnare amministrazioni e comunità locali in processi di cambiamento, ma anche per valorizzare i numerosi processi avviati dal basso che rendono i territori montani modelli di sviluppo alternativi, sostenibili e di cittadinanza attiva. Il gruppo di lavoro si è costituito nel 2019 dal mio incontro con alcuni laureandi in Antropologia ed Etnologia dell’Università di Torino».
Qual è il messaggio che l’antropologia può dare all’umanità?
«La specie umana, così fragile dal punto di vista biologico, è capace di infinite risposte diverse agli stessi bisogni, ma tutte passano attraverso i legami sociali. Noi sopravviviamo soltanto grazie alle cure che riceviamo e che a nostra volta siamo capaci di dare; è in questo che consiste la bellezza della nostra esperienza ed esistenza umana. Dobbiamo soltanto imparare a riconoscerla anche nelle nostre esperienze quotidiane. Responsabilità, attenzione, rispetto e cura sono le parole chiave alla base di un certo modo di stare al mondo, non solo di fare ricerca o di lavorare».