È bello immaginare Carla Fracci mentre rientra per l’ultima volta sul palco, si inchina con la sua eleganza per ringraziare il pubblico che la inonda di applausi, raccoglie i fiori lanciati per lei e, dopo un cenno di riverente saluto, esce di scena.
La leggendaria ballerina della Scala è morta giovedì scorso all’età di 84 anni. Per lei il prestigioso teatro milanese ha allestito la camera ardente nel foyer, un gesto senza precedenti ma al tempo stesso doveroso per quella che è stata senza dubbio la regina della danza italiana. Era nata a Milano il 20 agosto 1936. Si è spenta dopo una lunga sofferenza e una battaglia contro un tumore. Suo papà era tranviere della linea uno e quotidianamente seguiva la via dei binari passando proprio davanti alla Scala: un giorno l’aveva accompagnata lì, sperando che la facessero entrare alla scuola di ballo. La direttrice la scelse per la sua “bella faccina”, era l’anno 1946. Per Carla iniziava il duro lavoro di fatica quotidiana sulle punte e alla sbarra. Lei fu diligente, si applicò anche negli studi e arrivò fatalmente il momento fortunato, quello dell’occasione che può cambiarti la vita: alla Scala era in scena “Cenerentola”, doveva esserci l’étoile dell’Opera di Parigi, ma rinunciò. Per sostituirla chiamarono proprio Carla, il 31 dicembre del 1955. Sarebbe stato un trionfo, il primo. Da quel momento in avanti interpreta 200 personaggi, tocca i livelli più alti della danza mondiale, forma una coppia straordinaria sul palco con il leggendario ballerino russo Rudolf Nureyev.
«La danza è poesia perché esprime sentimenti, il nostro compito è quello di far passare la parola attraverso il gesto», amava dire a proposito del suo impegno. E partendo da questo concetto, la Fracci è stata capace di compiere un piccolo grande miracolo, quello di rendere decisamente “pop” la danza. Lo ha fatto con le apparizioni televisive che tra gli anni Settanta e Ottanta le hanno permesso di entrare nelle case degli italiani con risultati molto più efficaci, diretti e con grandi numeri, molto più di quanto non avrebbe potuto fare con l’esclusiva frequentazione dei teatri più prestigiosi del mondo. Il suo sorriso aveva una forza speciale, qualcosa che l’ha resa unica tra le personalità salite sul palcoscenico della Scala, qualcosa che ha moltiplicato il numero dei suoi ammiratori. Un popolo trasversale, dagli addetti ai lavori ai fruitori più colti fino alle famiglie di tutta Italia.
Roberto Bolle, il testimonial della danza nazionale che ne ha ricevuto l’eredità, ha detto senza mezzi termini che mai avrebbe potuto fare ciò che ha fatto nella sua carriera se prima non ci fosse stata Carla ad aprire le strade per quelli che sarebbero arrivati dopo. Per lui la Fracci è stata un punto di riferimento, la stella da ammirare agli spettacoli della Scala per la sua determinazione e la volontà. E poi, quando arrivò il momento di danzare con lei, Bolle racconta che si sentiva terrorizzato all’idea, per la paura di sbagliare. «Ma nonostante fosse un mito, mi ha aiutato moltissimo supportandomi sempre», non poteva che essere così.